Omelia del 22 maggio 2016

Santissima Trinità


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 16, 12-15)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.»


Prima Lettura (Prv 8,22-31)
Dal libro dei Proverbi
Così parla la Sapienza di Dio:
«Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, all'origine.
Dall'eternità sono stata formata,
fin dal principio, dagli inizi della terra.
Quando non esistevano gli abissi, io fui generata,
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua;
prima che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline, io fui generata,
quando ancora non aveva fatto la terra e i campi
né le prime zolle del mondo.
Quando egli fissava i cieli, io ero là;
quando tracciava un cerchio sull'abisso,
quando condensava le nubi in alto,
quando fissava le sorgenti dell'abisso,
quando stabiliva al mare i suoi limiti,
così che le acque non ne oltrepassassero i confini,
quando disponeva le fondamenta della terra,
io ero con lui come artefice
ed ero la sua delizia ogni giorno:
giocavo davanti a lui in ogni istante,
giocavo sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo».


Seconda Lettura (Rm 5,1-5)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani.
Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l'accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.
E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza.
La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

Omelia

Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo

(Gv 16,12-15  -  cTrinità)

1. La Trinità è un mistero! Però, come scrive A. de Saint Exupéry, “il mistero non è un muro, ma un orizzonte. Il mistero non è una mortificazione dell’intelligenza, ma uno spazio immenso che Dio offre alla nostra sete di verità”.

2.
Come possiamo inoltrarci in questo mistero? Ci sono tre vie:
a) Contemplando il creato: “Per il credente contemplare il creato è anche ascoltare un messaggio, udire una voce paradossale e misteriosa. Possiamo dire che accanto alla rivelazione propriamente detta contenuta nelle Sacre Scritture c’è una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e nel calare della notte” (Laudato sii, n. 85)
b) Ascoltando il cuore: al cap. 23 dei Promessi Sposi del Manzoni, è illuminante il dialogo tra l’Innominato, che ha l’inferno nel cuore, e il card. Federigo. L’Innominato esclama: “Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?”. Il card. Federigo gli risponde: “Voi me lo domandate? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore che v’opprime, che vi agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo contempliate, l’imploriate?”. Dio ci parla, fa sentire la sua voce nel più intimo del nostro cuore, nel più profondo della nostra coscienza, solo che abbiamo la sapienza di far tacere tanti rumori e darci il tempo di stare con lui.
c) Scrutando la Sacra Scrittura: Gesù ci rivela che Dio è amore, non un essere solitario, ma l’eterna danza d’amore dei Tre che si amano.

3.
Noi siamo discepoli fedeli di questo Dio trinitario se entriamo nel mistero dell’amore. Raccontava Madre Teresa di Calcutta: “Un maomettano era con p. Gabric e guardava una sorella che fasciava con tanto amore le piaghe di un lebbroso. La suora non parlava, ma agiva raccolta. Il maomettano si volse al padre e gli disse: ‘Per tutti questi anni ho creduto che Gesù fosse un profeta, ma oggi capisco che è Dio perché ha messo tanto amore nella mani di questa sorella”.

Chiediamo a Dio Trinità di riempire anche le nostre mani del suo amore!

   Omelia del 15 maggio 2016

Domenica di Pentecoste


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14, 15-16. 23-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Prima Lettura (At 2,1-11)

Dagli Atti degli Apostoli
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».


Seconda Lettura (Rm 8,8-17)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani.
Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.
Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.
E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

Omelia

“Dal suo grembo sgorgheranno fiumi d’acqua viva”

(cPentecoste – Gv 7,37-39)

Gesù partecipa alla festa delle Capanne, che si celebrava in autunno. Essa ricordava l’abitazione precaria del popolo ebraico nei quarant’anni del deserto e, in particolare, faceva memoria dell’acqua scaturita dalla roccia (cf Es 17,1-7). Nell’ultimo giorno della festa, che durava sette giorni, Gesù, ritto in piedi, probabilmente all’ingresso del Tempio, grida: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me”.

1.
“Se qualcuno ha sete”. Quali sono le nostre aridità? C’è anzitutto l’aridità della fede, che si esprime nell’oscurità del senso, nella fatica della preghiera. Quando l’aridità è accompagnata dalla sete, è un segno positivo: quello che ci sta capitando è la prova della notte, che Dio ci concede per purificarci e aprirci a un progresso nella vita spirituale. Quando l’aridità è senza sete, allora è frutto della dissipazione e della pigrizia, ci fa ripiegare su noi stessi, spegne ogni desiderio e ogni ideale. In ogni caso, si tratta di situazioni che hanno bisogno di tanta acqua. C’è poi l’aridità dell’amore, quando i rapporti, anche con le persone più vicine, diventano freddi, incapaci di comunicazione, di generosità, di slancio; quando risulta difficile l’autenticità, l’amicizia vera. C’è infine l’aridità della speranza. A volte, veniamo a trovarci in difficoltà che sembrano muri invalicabili, in situazioni che non lasciano trasparire prospettive. Abbiamo faticato tanto, abbiamo pregato a lungo, ma senza risultati.

2. Se qualcuno sperimenta queste aridità, Gesù gli dice, “venga a me e beva chi crede in me”. Egli, nel contesto della festa delle Capanne, si presenta come la roccia da cui scaturisce l’acqua nel deserto (Es 17,1-7), il tempio da cui sgorga l’acqua risanatrice (Ez 47,1), la sorgente della salvezza da cui attingere acqua con gioia (Is 12,3). Altrove, egli si rivela come il pane della vita, la luce del mondo, la via, la verità e la vita; qui, non dice “io sono l’acqua viva”, ma “vi do l’acqua viva”. Cos’è quest’acqua viva che Gesù ci dona? Come spiega l’evangelista Giovanni, è lo “Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui”.

3.
Il testo di Giovanni continua poi: “Come dice la Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Si tratta del grembo di Gesù o del grembo del credente? Se facciamo riferimento alla conclusione del racconto della Passione secondo Giovanni, si tratta del grembo di Gesù: dal suo costato trafitto, uscirono sangue e acqua, segni della grazia. Se accostiamo invece il racconto della Samaritana, troviamo un testo che ci fa pensare al grembo del credente: “Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14). In realtà, Giovanni ci orienta a mettere insieme le due interpretazioni: da Gesù sgorga l’acqua viva dello Spirito che diventerà sorgente zampillante in chi la beve. Si tratta dei doni e dei frutti dello Spirito, di quella consolazione spirituale che ci rallegra il cuore e ci permette di sopportare con serenità le prove e le difficoltà della vita.

4.
Preghiamo dunque con assiduità lo Spirito: “Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto. O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli”. Invadi il nostro cuore e sazia la nostra sete, o Spirito di Dio.

   Omelia dell'8 maggio 2016

"Ascensione del Signore"


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,46-53)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Prima Lettura (At 1,1-11)

Dagli Atti degli Apostoli
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».


Seconda Lettura (Eb 9,24-28;10,19-23)
Dalla lettera agli Ebrei.
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.
Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.

Omelia

“Si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”

(Lc 24, 46-53 – Ascensione)

1. “Una volta il semaforo che sta a Milano in piazza del Duomo fece una stranezza. Tutte le sue luci, ad un tratto, si tinsero di blu, e la gente non sapeva più come regolarsi. – Attraversiamo o non attraversiamo? Stiamo o non stiamo? Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeva l’insolito segnale blu, di un blu che così blu il cielo di Milano non era stato mai. In attesa di capirci qualcosa gli automobilisti strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire lo scappamento e i pedoni più grassi gridavano: – Lei non sa chi sono io! Gli spiritosi lanciavano frizzi: – Il verde se lo sarà mangiato il commendatore, per farci una villetta in campagna. – Il rosso lo hanno adoperato per tingere i pesci ai Giardini. – Col giallo sapete che ci fanno? Allungano l’olio d’oliva. Finalmente arrivò un vigile e si mise lui in mezzo all’incrocio a districare il traffico. Un altro vigile cercò la cassetta dei comandi per riparare il guasto, e tolse la corrente. Prima di spegnersi il semaforo blu fece in tempo a pensare: “Poveretti! Io avevo dato il segnale di ‘via libera’ per il cielo. Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare. Ma forse gli è mancato il coraggio” (G. RODARI, Favole al telefono, Einaudi, Torino).

2.
Il semaforo blu è la scoperta improvvisa di una nuova dimensione. Gli uomini sono abituati, come gli automobilisti, a vivere con la testa china sul volante, badando solo alla strada, preoccupati del lavoro, del denaro, delle mille grane quotidiane. Il semaforo che diventa blu ci dice: “Fermi! Non c’è solo la terra; c’è anche il cielo!”. La festa dell’Ascensione è il semaforo blu che ci dà via libera per il cielo. Gesù entra in una condizione nuova, entra definitivamente nella sfera di Dio; e “dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria” (Prefazio).

3.
Il mistero dell’Ascensione:
          a) ci indica la meta del nostro pellegrinare;
          b) ci permette pertanto di dare un significato nuovo a ogni frammento della nostra vita;
          c) riscattando anche le sofferenze del momento presente che “non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi”;
          d) ci assicura che il nostro desiderio di Pienezza troverà finalmente il suo compimento.

   Omelia del 01 maggio 2016

"Vi lascio la pace"


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,23-29)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.»

Prima Lettura (At 15, 1-2. 22-29)

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l'usanza di Mosè, non potete essere salvati».
Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d'accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch'essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agl'idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».


Seconda Lettura (Ap 21, 10-14. 22-23)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.
L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello. In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello.

Omelia
1. “Se uno mi ama osserverà la mia parola”. Se ci chiedono cosa caratterizza un cristiano, a volte rispondiamo che è uno che va a Messa la domenica, osserva i comandamenti, mangia di magro i venerdì di Quaresima. Oggi Gesù corregge il tiro: i suoi discepoli sono coloro che lo amano e perciò osservano la sua parola. E’ essenziale la relazione con Lui, una relazione d’amore, che ti fa entrare nel suo orizzonte di vita e coinvolgere dal suo Mistero!
2. “E il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Se entriamo in una relazione d’amore con Gesù, noi diventiamo tempio e tabernacolo di Dio. Giovanni, che nell’Apocalisse descrive la nuova Gerusalemme, osserva che al suo interno manca il tempio: l’Onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio. Qui Gesù osa ancora di più: siamo noi la dimora del Padre e del Figlio, il loro tempio. “Noi siamo il cielo di Dio, abitato da Dio intero, cielo spazioso in cui spazia il Signore della vita. Un campo dove cade pioggia di vita, in cui il sole sveglia i germogli di grano” (E. Ronchi).
3. “Ma il Paràclito, lo Spirito che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Il discepolo, dimora del Padre e del Figlio, è messo in sintonia con lo Spirito. Compito dello Spirito è ricordare e insegnare, riportare al cuore le grandi parole di Gesù e comunicare nuove ispirazioni divine. Egli ci fa intravvedere orizzonti sconfinati, ci spinge a prendere il largo, ci domanda di non aver paura dei sogni.
Ecco la carta d’identità del discepolo: essere dimora del Padre e del Figlio, sintonizzato con lo Spirito. Vuol dire vento e fuoco, gioia e amore. Sono un cristiano così? Gesù mi offre un criterio sicuro per verificarlo.
4. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi”. Quando Gesù pronuncia queste parole, vige nel mondo la pax romana: non ci sono guerre, tutti i popoli sono sottomessi a Roma. Alla base di questa pace c’è la schiavitù, l’emarginazione, l’oppressione dei vinti e dei poveri. Al contrario, la pace che dà Gesù mette al primo posto l’amore, relazioni di rispetto, il servizio disinteressato, l’accoglienza e il sostegno degli ultimi.

Mi domando: Il mio cuore, nonostante sia provato dalle vicende della vita, è in pace? Sono un costruttore di pace? Diffondo attorno a me bontà, benevolenza, gioia? Se posso rispondere di sì, beato me! Se invece trovo nel mio cuore tristezza e angoscia, che aspetto? Proprio da questo momento posso aprire il mio cuore a Dio, diventare sua dimora e vivere d’amore!

   Omelia del 24 aprile 2016

V Domenica di Pasqua


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 13,31-33a.34-35)
Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi.
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Prima Lettura (At 14, 21-27)

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni».
Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto.
Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede.


Seconda Lettura (Ap 21, 1-5)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.
Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate». E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».

Omelia
1. Le parole di Giovanni 13 acquistano una densità tutta particolare se prendiamo consapevolezza del contesto in cui Gesù le ha pronunciate duemila anni fa e di quello in cui noi le ascoltiamo oggi.
Il contesto evangelico è quello dell’Ultima Cena, il pasto in cui Gesù sta  per accomiatarsi dai suoi discepoli per tornare al Padre.  Pensiamo all’esperienza umana di un padre (o di una madre) sul letto di morte, con davanti a sé i propri figli. In quel momento, ciò che egli (o ella) vuole trasmettere loro sono le parole più sacre, più vive, più essenziali. Quelle parole, sigillate dalla definitività della morte, diventano per i figli un testamento da custodire, un mandato da realizzare. E’ appunto nell’imminenza consapevole della sua morte che Gesù dice ai suoi discepoli: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri.
Ma, oltre al contesto evangelico, c’è il nostro contesto storico, che fa acquistare alle parole che abbiamo proclamato una densità tutta particolare. E’ il contesto delle nostre famiglie e della nostra comunità parrocchiale, dell’Italia e del mondo intero. E’ il contesto della crisi economica, dell’esodo di milioni di persone in fuga da guerra e povertà, di tanti di noi che perdono fede e speranza. In questo contesto, irrompe oggi il testamento di Gesù: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri.
2.
Che cosa significa comandamento nuovo? Una prima risposta potrebbe essere quella di contrapporre il comandamento di Gesù ai molti comandamenti dell'Antico Testamento. In questo senso esso sarebbe nuovo, per la rilevanza nuova che acquista.
Questo è vero, ma mi pare che ci sia una risposta ancora più profonda, suggeritaci da Agostino. Quello di Gesù è un comandamento nuovo rispetto agli antichi perché li rende nuovi. Non si tratta dunque di un altro comandamento, ma di una comprensione nuova degli antichi, di una capacità nuova di scendere in profondità.
Si tratta della spiegazione che dava già Origene. Egli vedeva nel comandamento nuovo dell’amore lo sviluppo del comandamento antico di non uccidere. Quanto più si comprende in profondità il comandamento di non uccidere, - diceva - tanto più si innesca un progressivo affinamento della coscienza e del cuore. Quanto più si cammina sulla strada dell’amore, tanto più diventa impossibile fermarsi in superficie. Allora, non è più solo uccidere il fratello che ci ripugna, ma anche soltanto dirgli stupido. Qui sta la novità del comandamento nuovo: nella comprensione nuova dell’antico, fino alle sue estreme esigenze.
Ciò è possibile non in forza della carne e del sangue, ma per potenza di Spirito Santo. Quel come io ho amato voi è indicativo. L’avverbio come (kathòs) esprime un rapporto di causalità: "Dal momento che io vi ho amato, vi ho dato l'energia di corrispondere al mio amore e di amarvi gli uni gli altri come io ho amato voi".
3. L'amore - ci insegna Gesù - è il modo più efficace di annunciare il Vangelo. Ciò significa che la missione della Chiesa trova la sua massima efficacia nella testimonianza dell'amore reciproco. E' questo il sentire vivo delle prime comunità cristiane, l'intuizione che ha condotto gli eremiti a fare vita in comune.
Guardate come si amano. Se si potesse dire questo di noi, delle nostre famiglie, delle nostre comunità, noi saremmo una predicazione vivente ed efficace del Vangelo di Gesù. E basterebbe poco altro per far breccia in cuori lontani, in città refrattarie. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri.
Non è forse perché manca il più che a volte si fa il molto?


   Omelia del 17 aprile 2016

IV Domenica di Pasqua


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Prima Lettura (At 13,14.43-52)
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia in Pisìdia, e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero.
Molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio.
Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».
Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.


Seconda Lettura (Ap 7,9.14-17)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.
Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.  E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».

Omelia
1. “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. I discepoli di Gesù hanno le antenne per sentire l’attrazione a Gesù. Infatti, affinché avvenga il miracolo della conversione, non è necessario sapere di più, ma sentire e vedere di più, lasciare che il cuore ascolti. “Beati quelli che sanno ascoltare in profondità, perché vedranno Dio! A noi sembra incredibile che Dio ci parli, eppure egli lo fa ininterrottamente. Perché allora non udiamo la sua voce? Semplicemente perché non stiamo in ascolto, non siamo sulla lunghezza d’onda della sua Parola” (Suenens).
Non è facile ascoltare il Pastore: tante voci sovrastano la sua voce, la confondono, perché vogliono portarci lontano da Gesù; sono voci suadenti, come quelle delle Sirene.
Bisogna che facciamo silenzio attorno e dentro di noi e allora potremo udire nitidamente il Pastore che ci parla.
2.
L’udire (“audire”) si apre naturalmente all’obbedire (“ob-audire”); il discepolo che ascolta il Pastore, lo segue volentieri. Osserva don Tonino Bello che “si sente spesso parlare di obbedienza cieca. Mai di obbedienza sorda. Sapete perché? Per spiegarvelo devo ricorrere all’etimologia la quale, qualche volta, può dare una mano d’aiuto anche all’ascetica. Obbedire deriva dal latino ob-audire, che significa: ascoltare stando di fronte. Quando ho scoperto questa origine del vocabolo, anch’io mi sono progressivamente liberato dal falso concetto di obbedienza inteso come progressivo azzeramento della mia volontà, e ho capito (…) che chi obbedisce non annulla la sua libertà, ma la esalta” (Maria, donna dei nostri giorni, Ed. Paoline 1996).
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Preghiamo lo Spirito, perché ci metta in sintonia con il Pastore e ci renda forti per seguirlo sulle strade dell’Amore!

   Omelia del 10 aprile 2016

III Domenica di Pasqua


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 21, 1-19)
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?". Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "È il Signore!". Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: "Portate un po' del pesce che avete preso ora". Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: "Venite a mangiare". E nessuno dei discepoli osava domandargli: "Chi sei?", perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci i miei agnelli". Gli disse di nuovo, per la seconda volta: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pascola le mie pecore". Gli disse per la terza volta: "Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?". Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: "Mi vuoi bene?", e gli disse: "Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi". Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: "Seguimi".

Prima Lettura (At 5, 27-32. 40-41)
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, il sommo sacerdote interrogò gli apostoli dicendo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest'uomo».
Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono».
Fecero flagellare [gli apostoli] e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero in libertà. Essi allora se ne andarono via dal Sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.


Seconda Lettura (Ap 5, 11-14)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.
Io, Giovanni, vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce:
«L'Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione».
Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano:
«A Colui che siede sul trono e all'Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli».
E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.

Omelia
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: Simone, figlio di Giovanni, mi ami?”
1.
Sorprende l’appellativo “Simone, figlio di Giovanni” con cui Gesù si rivolge a Pietro. E’ questo l’unico punto (ricordatoci dall’evangelista) in cui Gesù chiama Pietro con il suo soprannome. Esso era emerso solo nel loro primo incontro, quando Gesù disse a Pietro: Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (Gv 1, 42). Perché ora Gesù usa ancora quel vecchio soprannome?
Probabilmente per indicare l’ambiguità con cui Pietro seguiva ancora il Signore. Simone di Giovanni significa “Simone, discepolo di Giovanni il Battista”: ci orientano in questa direzione il testo di Gv 1, 42 e il fatto che il patronimico proposto da Matteo (16,17) sia figlio di Giona.
Come discepolo di Giovanni il Battista, Pietro si presentava dunque come un riformista, come uno che aveva rotto con l’istituzione giudaica e che sì, si era affidato a Gesù, ma considerandolo come il Messia trionfatore, che avrebbe preso il potere e rinnovato le istituzioni. In questa ottica, si spiega perché Pietro non potesse accettare che il Signore gli lavasse i piedi (Gv 13, 6-8). Nella stessa ottica si deve leggere la sua adesione incondizionata al Messia, disposto a dare la vita per lui (Gv 13, 37) e rischiandola di fatto, come quando l’aveva difeso con la spada, tagliando l’orecchio a Malco (Gv 18, 10).
Il rapporto di Pietro con Gesù era ideologico, basato su un programma religioso e politico; era un rapporto ambiguo, insufficiente, un rapporto che l’avrebbe portato al rinnegamento. Gesù, chiamando Pietro Simone di Giovanni, vuole riferirsi all’uomo vecchio che c’era ancora in lui, vuole smascherarne l’ambiguità, spingerlo verso una relazione nuova, basata sull’amore.
2.
Il superamento dell’ambiguità è lo scopo profondo della vita. Perché viviamo su questa terra? Per diventare discepoli di Gesù, raffinarci nell’amore, scegliere con libertà la strada del Paradiso!
Seguire Gesù superando le ambiguità è un’immensa trasformazione dell’essere che richiede sforzo, combattimento e fatica. Si tratta di una fatica che noi generalmente non siamo disposti a fare perché pensiamo che la strada giusta sia solo quella facile e che porta al successo. L’impero della tecnica in cui viviamo ci condiziona in questo senso e così pure la pedagogia corrente, che vuole risparmiare ai figli ogni difficoltà. Se, al contrario, vogliamo metterci in cammino per seguire Gesù, siamo chiamati ad accettare la fatica del cambiamento, a star dentro il travaglio del superamento di noi stessi. 
Ci vuole un’energia immensa, che lo Spirito di Gesù non mancherà di donarci in abbondanza!
“Simone di Giovanni - dice il Signore a ciascuno di noi -, mi vuoi bene?”.  Sì, o Signore, ti voglio bene, ma tu donami il tuo Spirito perché purifichi il mio cuore e lo riempia del tuo amore.

 

   Omelia del 03 aprile 2016

La pace sia con voi


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Prima Lettura (At 5, 12-16)
Dagli Atti degli Apostoli
Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.
Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro.
Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.

Seconda Lettura (Ap 1, 9-11.12-13.17.19)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.
Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell'isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.
Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese».
Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d'oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d'uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro.
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».

 

   Vangelo e Letture di Pasqua (27 marzo 2016)

Domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 1-9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Prima Lettura (At 10, 34.37-43)
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.
E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.
E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».


Seconda Lettura (Col 3, 1-4)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.

   Vangelo e Letture del 20 marzo 2016

Benedetto colui che viene nel nome del Signore


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 19,28-40)
In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: "Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: ‘Perché lo slegate?’, risponderete così: ‘Il Signore ne ha bisogno’". Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: "Perché slegate il puledro?". Essi risposero: "Il Signore ne ha bisogno". Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada.
Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!".
Alcuni farisei tra la folla gli dissero: "Maestro, rimprovera i tuoi discepoli". Ma egli rispose: "Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre".

Prima Lettura (Is 50, 4-7)
Dal libro del profeta Isaia
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.

Seconda Lettura (Fil 2, 6-11)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.