Omelia del 14 febbraio 2016

Nel deserto della tentazione

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4,1-13)
In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Non di solo pane vivrà l'uomo"».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto"».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: "Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano"; e anche: "Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra"». Gesù gli rispose: «È stato detto: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo"».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Prima Lettura (Dt 26, 4-10)
Dal libro del Deuteronomio
Mosè parlò al popolo e disse:
«Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all'altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: "Mio padre era un Aramèo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato". Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio».


Seconda Lettura (Rm 10, 8-13)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, che cosa dice [Mosè]? «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore», cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
Dice infatti la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso». Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato».

Omelia

La Quaresima, come tutta la vita, è un itinerario dal deserto della tentazione al Tabor della Trasfigurazione. In questa prima tappa siamo nel deserto della tentazione.
Il Vangelo ci porta a riflettere sulle tentazioni subite da Gesù nel deserto, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti. La tradizione monastica ha visto nelle tre tentazioni di Gesù il paradigma di tutte le tentazioni: la concupiscenza della carne, significata dal porco, la concupiscenza degli occhi, significata dal pavone e la superbia della vita, significata dall'aquila. La tradizione spirituale, poi, ha precisato ulteriormente la varietà delle tentazioni formulando il catalogo dei sette vizi capitali.
Ma, qual è la tentazione più radicale? Se leggiamo in profondità il Vangelo di oggi, risulta che la tentazione più radicale è quella di prescindere da Dio, di non rispettare il nostro statuto di creature; ci sono tre modi per farlo.

1. Il primo modo è quello di mettersi al posto di Dio: "Se sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane", dice il demonio a Gesù. Voi direte che è una tentazione che non ci riguarda, che mai abbiamo pensato di metterei al posto di Dio. E invece non è così: noi ci mettiamo al posto di Dio quando non abbiamo coscienza del nostro limite, quando crediamo di arrivare a tutto e di poter  dominare tutto. Pensiamo alle manipolazioni genetiche, alla corsa al godimento sfrenato, allo sfruttamento selvaggio della terra; ma pensiamo anche alle nostre giornate, alle nostre agende stracariche di impegni.
Non siamo Dio; siamo creature; e dunque siamo chiamati a vivere da creature. Quando non lo facciamo, creiamo scompensi, disarmonie, che alla lunga ci distruggono.

2. Il secondo modo di prescindere da Dio è quello di servire altri idoli: "Se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo". Di idoli siamo un po' tutti maestri; non degli amuleti degli antichi, che ci fanno sorridere, ma delle priorità che determinano la nostra vita e guidano le nostre scelte: le comodità, il look, il piacere, il denaro, l'autonomia, il successo, il 30 e lode, la gratificazione affettiva. Dio non è escluso, ma non è neppure rilevante per le scelte concrete di ogni giorno; rimane sullo sfondo, come orizzonte evanescente di ricordi, nostalgie e consolazioni.

3. Il terzo modo di prescindere da Dio è quello di strumentalizzare Dio, asservendolo ai nostri bisogni: "Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti: 'Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, affinché essi ti custodiscano'; e anche 'Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra"'. Questo modo di prescindere da Dio ci è più familiare; è quando siamo noi a fare i progetti e chiediamo a Dio semplicemente di firmarli; è quando vogliamo fare intervenire Dio semplicemente per colmare una nostra lacuna o per strabiliare i nostri amici; è quando la nostra preghiera si colora di magia. Qui c'è poco di cristiano.

4. In questa prospettiva, fare Quaresima non vuol dire semplicemente fare qualche digiuno o rinunciare ai cioccolatini. Vuol dire ritrovare il senso delle cose, il posto giusto di Dio e dell'uomo, e agire di conseguenza. Sia così il cammino quaresimale!
Vorrei che avessimo gli stessi sentimenti di fratel Carlo de Foucauld, espressi dalla preghiera: "Padre mio, mi abbandono a te, fa' di me ciò che ti piace. Qualunque cosa tu faccia di me ti ringrazio. Sono pronto a tutto. Accetto tutto. Purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature; non desidero altro, mio Dio. Depongo la mia anima nelle tue mani. Te la dono, mio Dio, con tutto l'amore del mio cuore, perché ti amo ed è per me un'esigenza d'amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani senza misura, con una fiducia infinita, perché tu sei il Padre mio".
Viviamo con questi sentimenti la nostra Quaresima".

   Omelia del 7 febbraio 2016

Sulla tua parola

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 5,1-11)
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Prima Lettura (Is 6,1-2.3-8)
Dal libro del profeta Isaia
Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».

Seconda Lettura (1Cor 15,1-11)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano! A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè  che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

Omelia

Una scena di vita quotidiana sulle rive del lago di Genesaret: Gesù sta predicando a una gran folla che gli si accalca attorno; alcuni pescatori stanno lavando le reti accanto alle loro barche ormeggiate alla sponda. Ad un certo punto, egli ha un’idea: perché non salire su una barca, in modo da mettere un po’ di spazio tra lui e la gente, e così predicare meglio? La barca scelta è quella di Simone, il futuro Pietro. Il pescatore è contento che il rabbi abbia scelto la sua barca: è un gesto di fiducia che gli fa onore di fronte a tutto il paese. Non immagina per niente che quella scelta avrebbe capovolto la sua vita. Vedete, è sempre così: il Signore irrompe improvviso, nelle situazioni ordinarie della vita.

1. Finito di predicare, Gesù dice a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”. “Prendi il largo, duc in altum!

Anche a noi oggi il Signore dice di non aver paura e di prendere il largo; ci dice di andare avanti con fiducia, di credere che i miracoli possono ancora capitare nella nostra vita personale, familiare, comunitaria.

Sì, o Signore, vogliamo prendere il largo; siamo stufi di una vita, strascinata sulla banalità, inconcludente. Vogliamo vivere in pienezza, prendere il largo, spezzare i confini del cielo e della terra.

2. All’invito di Gesù, Pietro in prima battuta risponde: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”. E’ comprensibile la risposta di Simone, uomo concreto, di buon senso; che figura ci avrebbe fatto se si fosse messo a pescare di mattina, cosa che nessuno faceva mai, e poi non avesse preso niente! Sarebbe diventato la barzelletta di tutti. C’era poi la fatica, la stanchezza; per un’intera nottata aveva remato, sudato, aveva speso molta energia, ce l’aveva messa tutta, senza alcun risultato. Non aveva più tanta voglia di ricominciare; l’avrebbe fatto, sì, ma la notte dopo. Se Simone avesse detto di no, sarebbe stato ragionevole; il buon senso era tutto dalla sua parte.

Anche noi talvolta ci troviamo nella situazione di Simone; nella nostra vita di fede, in famiglia, a scuola e all’università, sul lavoro, in parrocchia, quante volte facciamo fatica ad accogliere l’invito di Gesù, perché siamo stanchi o scoraggiati o attaccati alle nostre comodità.

3.
Nonostante tutto, però, Pietro si fida e continua dicendo: “ma sulla tua parola getterò le reti”. Pietro esce dai calcoli e si butta sulla parola del Signore. E’ un pizzico di follia che lo porta al largo per pescare di nuovo. Per seguire il Signore, è necessario rischiare, buttarsi fuori.

Pietro e i primi compagni, ascoltando il Signore, presero una quantità enorme di pesci; i credenti che hanno fatto come loro hanno trovato la pienezza della vita e della gioia. Anche noi vogliamo fidarci di Gesù, credere che l’impossibile, con Lui, può diventare realtà; vogliamo ostinarci a credere che un mondo migliore è possibile, che i cieli nuovi e la terra nuova sono la promessa di Dio per noi.

   Omelia del 31 gennaio 2016

A Nazareth Gesù viene cacciato

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4,21-30)
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso”. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!». Poi aggiunse: «In verità vi dico nessun profeta è bene accetto nella sua patria.
Anzi in verità vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu purificato se non Naaman, il Siro».
All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno; si alzarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Prima Lettura (Ger 1,4-5.17-19)
Dal libro del profeta Geremia
Nei giorni del re Giosia, mi fu rivolta la parola del Signore: "Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato: ti ho stabilito profeta delle nazioni.
Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, alzati e di' loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro.
Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una collonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese.
Ti faranno guerra ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti".

Seconda Lettura (1Cor 12,31 - 13,13)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime.
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.
Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

Omelia
1.
Il passaggio dalla prima scena del brano di Luca alla seconda è ancora un mistero che gli esegeti non sono riusciti a spiegare. E’ sorprendente l’evoluzione della reazione dei compaesani di Gesù, che va dalla meraviglia iniziale all’aperta ostilità. Gesù sente che l’atmosfera diventa ostile e, dopo alcune pungenti considerazioni, conclude: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”. A questo punto, l’emozione raggiunge il culmine: Gesù viene cacciato fuori dalla sinagoga, addirittura con l’intenzione di ucciderlo; poi i suoi compaesani ci ripensano, tuttavia il fallimento della predicazione è totale. L’ultimo versetto che abbiamo letto, il 30, è di una tristezza toccante: Gesù, “passando in mezzo a loro, si mise in cammino”.

Luca inizia intenzionalmente il racconto del ministero di Gesù in Galilea con questo fallimento; è segno che ha voluto dargli un valore programmatico. Noi forse avremmo cominciato con una serie di episodi belli, attraenti, in cui il rabbì di Nazareth miete successi e trascina le folle. Luca no! Perché? Perché egli voleva, fin dall’inizio, far riflettere profondamente su chi è l’evangelizzatore.

Gesù evangelizzatore ci appare totalmente fedele al messaggio che deve annunciare, dotato di assoluta libertà di spirito, incurante del successo o della cattiva fama che la sua azione può portare, fondato unicamente sulla Verità che custodisce. La gente di Nazareth si aspettava molto da Gesù, il compaesano diventato famoso; ma Egli si divincola da queste attese, non sottostà ad alcun ricatto, preferisce fallire piuttosto che essere incastrato nei piccoli interessi del suo villaggio di montagna. Emerge dall’insieme del brano la statura possente di Gesù.

2. L’anno del Giubileo della misericordia che stiamo vivendo, a cinquant’anni dal Concilio, è un’occasione straordinaria per ravvivare la nostra fede in Gesù, ma anche per offrire a chi non è cristiano o non lo è più una testimonianza del Vangelo incisiva e coraggiosa.

Gesù ci mostra con il suo atteggiamento che evangelizzare non vuol dire anzitutto fare qualche cosa, ma essere persone nuove; ci rivela che l’essenziale è partecipare della sua vita, della sua libertà e della sua liberazione. “Non possiamo aiutare, liberare, pacificare gli altri se prima non siamo noi liberi, pacificati, salvati dalla presenza di Gesù, dalla nostra permanenza in lui liberatore, in lui salvatore” (C. M. Martini, L’evangelizzatore in San Luca, p. 31). Infatti, se conviviamo pacificamente con risentimenti, invidie, gelosie e varie forme di schiavitù, come potremo comunicare agli altri la vita, la libertà e la liberazione di Gesù?

3. Oggi c’è tanto bisogno che il Vangelo venga annunciato con forza, con entusiasmo, con credibilità. Papa Francesco, nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium insegna che “c’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. […] Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada” (n. 128).

La condizione è che ci lasciamo salvare per primi e che viviamo da salvati; senza dire tante parole, sarà la nostra stessa esistenza a comunicare il Vangelo che portiamo dentro e a farci diventare evangelizzatori fedeli e coraggiosi.    

 

   Omelia del 24 gennaio 2016

La nuova creazione inizia dai poveri


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1-1,4;4-14-21)
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch'io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato".

Prima Lettura (Ne 8,2-4. 5-6. 8-10)
In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all'assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere.
Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d'intendere; tutto il popolo tendeva l'orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l'occorrenza.
Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore.
I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura.
Neemìa, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge.
Poi Neemìa disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».

Seconda Lettura (1Cor 12, 12-31)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.
Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l'odorato?
Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.
Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?

Omelia
1. Il giovane rabbi Gesù torna al suo paese, Nazareth, entra nella sinagoga e si alza a leggere. Gli danno il rotolo del profeta Isaia, da dove sceglie di leggere alcuni versetti del capitolo 61, là dove il futuro Messia descrive la sua missione di guarigione e liberazione.

La parola chiave è liberazione (“afesis”), una parola che negli ultimi decenni abbiamo imparato ad usare spesso. P. Ermes Ronchi, il servita che predicherà quest’anno gli esercizi spirituali a papa Francesco e alla Curia romana, la spiega così: “Nella sua radice greca il termine indica movimento, parla dell’energia che spinge in avanti, della nave che salpa, della freccia che scocca, della carovana che si avvia. Liberazione sa di vento, di futuro e di spazi aperti”.

2. “Oggi, dice Gesù ai suoi compaesani, si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Oggi Gesù fa risuonare quella profezia anche per noi, non semplicemente perché è l’anno del Giubileo, ma perché egli stesso è il Giubileo! Il suo è un oggi eterno, che ci porta un lieto annuncio, risana la nostra vita, ci libera dalla schiavitù.

3. Gesù comincia la sua nuova creazione dalle periferie della terra, dai sotterranei della storia, da coloro che non ce la fanno. Perché in loro riesce a fare breccia, ad entrare nel cuore, a portare il suo Dono, che ha la forza di scardinare il mondo vecchio e far germogliare quello nuovo.

Mi domando: sono abbastanza povero da lasciarmi salvare? abbastanza disperato da accogliere il Dono.

4. Discepoli di Gesù, siamo chiamati a lavorare perché il Regno di Dio cresca, la misericordia trionfi, l’ingiustizia sia sconfitta, le divisioni superate, la pace vittoriosa. Consacrati in Gesù, siamo mandati per risanare e liberare, per consolare e sostenere.

Le opere di misericordia, che papa Francesco ci ha chiesto di riscoprire in questo Giubileo, sono un modo facile e concreto per condividere la missione di Gesù. Quelle corporali: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. E quelle spirituali: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.

Beati noi se avremo la sapienza di fare la nostra parte!


   Omelia del 17 gennaio 2016

Vino nuovo

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2,1-11)
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le anfore»; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua - chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 
Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Prima Lettura (Is 62,1-5)
Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.

Seconda Lettura (1Cor 12,4-11)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue.  Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

Omelia
1. Vita di paese. Gesù è invitato a una festa di nozze; ci va con Maria, sua mamma. E là avviene il suo primo miracolo, con cui si manifesta ai suoi discepoli, parenti, amici. L’evangelista Giovanni dà un’enfasi particolare al “segno” di Cana: esso “fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”.

2. Non è un caso che Gesù compia il suo primo miracolo a una festa di nozze. Vuole sottolineare la decisività e la santità della famiglia. Su suggerimento di sua madre Maria, trasforma l’acqua in vino e rallegra la festa degli sposi. Oggi, dovremmo anche noi invitare Gesù nelle nostre famiglie, perché rallegri la festa e ci porti il vino nuovo della Vita, dell’Amore, della Gioia. Dovremmo chiedergli anche di aiutare i giovani ad avere un lavoro e una casa; altrimenti, come potranno sposarsi e fare una famiglia?
Non dobbiamo, però, avere paura di invitarlo a casa nostra!

3.Cosa rappresenta il vino nuovo che Gesù fa comparire sulla tavola degli sposi? In tutta la Bibbia, esso è il simbolo della felicità e dell’amore.
Di fatto, è l’amore il segreto della vita: di ogni vita, della vita del mondo, della nostra vita. Senza amore, c’è il nulla, la morte. E’ questa l’esperienza che facciamo ogni giorno: quando nel nostro cuore c’è l’amore, tutto sembra sorriderci, abbiamo voglia di vivere, entusiasmo, gioia; quando per qualche ragione quest’amore si raffredda o si spegne, tutto sembra caderci addosso, diventiamo tristi, scontenti. E’ inevitabile che questo avvenga, perché il nostro amore è fragile e limitato.
Il vino nuovo che Gesù fa comparire sulla tavola degli sposi è la sua Vita, il Suo Amore, la sua Gioia. E’ un vino che si mischia al nostro e rende inesauribile la festa.

4. A Maria, invitata premurosa e discreta a Cana, vogliamo dire con le parole di don Tonino Bello: “Santa Maria, donna del vino nuovo, quante volte sperimentiamo pure noi che il banchetto della vita languisce e la felicità si spegne sul volto dei commensali. È il vino della festa che viene meno. Sulla tavola non ci manca nulla: ma senza il succo della vite, abbiamo perso il gusto del pane che sa di grano. Muoviti a compassione di noi, e ridonaci il gusto delle cose. Solo così le giare della nostra esistenza si riempiranno fino all’orlo di significati ultimi. E l’ebbrezza di vivere e di far vivere ci farà finalmente provare le vertigini”. “Tu, madre, chiedi anche per noi la pienezza della gioia terrena, il vino rinnovato, che fermenta i cuori perché nulla manchi al nostro banchetto con Lui.”

 

   Omelia del 10 gennaio 2016

Battesimo di Gesù

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3,15-16.21-22)

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Prima Lettura (Is 40,1-5.9-11)
Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato». Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».

Seconda Lettura (Tt 2,11-14;3,4-7)
Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone. Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini,  egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.

Omelia
1. Al Giordano, il Padre dichiara a Gesù: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. E’ questa l’identità più profonda di Gesù, che viene manifestata all’inizio della sua vita pubblica. L’essere amati dal Padre è anche la nostra più autentica identità: noi tutti siamo i figli amati dal Padre. Questo amore ci raggiunge in pienezza nel momento del Battesimo, quando diventiamo realmente figli nel Figlio.

Il problema è che questa identità è sepolta sotto un mare di sabbia che a volte non la rende più così evidente ai nostri occhi. Tante voci continuamente ci gridano: “Tu sei il brutto anatroccolo, non sei degno, non sei capace, non sei nessuno”. E allora noi spendiamo tutta la vita a dimostrare che siamo piacevoli, amabili, efficienti, in un dinamismo perverso che ci distacca dal cuore di noi stessi e ci impedisce di gustare la vita. Credere di non essere amati: è questa la più grande tentazione, la madre di tutte le trappole, che ci spinge a cercare disperatamente surrogati di amore nel potere, nel sesso, nella ricchezza, nella popolarità, nel successo. Persone attorno che ci vogliono bene ce ne sono, ma non ce ne accorgiamo; teniamo conto solo delle ferite che inevitabilmente i genitori, gli amici, i compagni di strada ci arrecano.

2. E allora, che fare? Bisogna scavare la sabbia che seppellisce la nostra identità, far venir su dal nostro io più profondo ciò che siamo in realtà, ciò che nel Battesimo siamo divenuti, e far fiorire così il deserto della vita e del mondo. Sono necessari due passaggi.

Il primo passaggio è diventare consapevoli di essere i figli amati di Dio. Noi siamo questi figli non perché siamo stati bravi, ce lo siamo meritati, ma perché il Padre, nella sua infinita misericordia, ci ha scelti e amati. E’ questa consapevolezza che possiamo far giungere a noi attraverso la preghiera. La preghiera ci permette di ascoltare la voce d’amore del Padre, che è all’origine della nostra esistenza, ci permette di gustare il nostro essere figli, ci libera di tutti i meccanismi diabolici che ci spingono a costruirci un’identità scintillante, ma falsa, perché non è la nostra.

Gesù passava molte notti in preghiera per continuare a sentire la voce che gli aveva parlato sul Giordano. Anche noi dobbiamo pregare, ma come è difficile! H. Nouwen paragona la nostra vita interiore a un albero di banane carico di scimmie saltellanti. “Ma se decidiamo di non andarcene e di rimanere concentrati - insegna -, le scimmie forse se ne andranno via per mancanza di attenzione e la voce sommessa e dolce che ci chiama ‘diletti’ si potrà far sentire a poco a poco. Gran parte della preghiera di Gesù aveva luogo di notte. ‘Notte’ significa più che l’assenza del sole; significa anche l’assenza di sentimenti di soddisfazione o di intuizioni illuminanti. Per questo è così difficile essere fedeli. Ma Dio è più grande del nostro cuore e della nostra mente e continua a chiamarci suoi diletti… molto al di là di sentimenti e pensieri” (H. J. M. Nouwen, Vivere nello Spirito, Brescia 1995, 134).

Il secondo passaggio per far fiorire il deserto è diventare ciò che siamo: non solo sapere di essere gli amati, ma diventare gli amati, i figli di Dio, i fratelli e le sorelle, ritrovare il paradiso perduto. Ciò comporta un processo di incarnazione: “lasciare che la verità dell’’essere amati’ si incarni in ogni cosa che pensiamo, diciamo o facciamo… Diventare l’amato significa calare nella ordinarietà di ciò che io sono e, quindi, di ciò che penso, dico e faccio ora dopo ora, la verità che mi è stata rivelata dall’alto” (H. J. M. Nouwen, Sentirsi amati, Brescia 2005, 37). Questa incarnazione nell’ordinario mi renderà capace di discernere le voci negative che mettono in dubbio la mia amabilità e di neutralizzarle; al contrario, mi permetterà di cogliere ogni raggio dell’amore di Dio per me nascosto anche nelle realtà più umili e imperfette. Riuscirò a vedere e ad apprezzare l’amore dei miei genitori, dei fratelli, degli amici e di chi mi è affidato al di là della sabbia che a volte lo copre o delle ferite che lo deturpano.

3. Quando avremo percepito che siamo gli amati, non avremo più bisogno di dimostrare a nessuno che siamo belli, bravi e buoni. Lo saremo, ma come libera esigenza che scaturisce da ciò che siamo. Tutto ciò che ci capiterà, diventerà opportunità unica per scegliere la Vita, l’Amore, la Gioia. Solo se diventeremo gli amati potremo essere gli amanti! Solo se avremo sperimentato la misericordia, potremo essere misericordiosi!

Pensatevi a cosa vuol dire diventare figli, padri, madri, fratelli, amici così. Vuol dire davvero ritrovare il paradiso perduto!

Lo Spirito Creatore renda feconda la nostra ricerca e colmi la nostra fame e sete di Amore.

Don Sandro