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XXVI Domenica del tempo ordinario (25 settembre 2016)

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   XXVI Domenica del tempo ordinario (25 settembre 2016)  

L'uomo ricco e Lazzaro


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16, 19-31)
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Prima Lettura (Am 6, 1.4-7)
Dal libro del profeta Amos
Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Distesi su letti d'avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell'arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l'orgia dei dissoluti.

Seconda Lettura (1 Tm 6, 11-16)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio, il beato e unico Sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, il solo che possiede l'immortalità e abita una luce inaccessibile: nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo. A lui onore e potenza per sempre. Amen.

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XXV Domenica del tempo ordinario (18 settembre 2016)

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   XXV Domenica del tempo ordinario (18 settembre 2016)  

La parabola dell'amministratore disonesto


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16, 1-13)
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.  Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Prima Lettura (Am 8, 4-7)
Dal libro del profeta Amos
Il Signore mi disse: «Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: "Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l'efa e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano"». Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».

Seconda Lettura (1 Tm 2, 1-8)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo - dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.

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XXIV Domenica del tempo ordinario (11 settembre 2016)

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   XXIV Domenica del tempo ordinario (11 settembre 2016)  

La parabola della pecorella smarrita


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15, 1-32)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”.
Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». (…).

Prima Lettura (Es 32, 7-11.13-14)
Dal libro dell'Esodo
In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va', scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d'Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: "Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto"».
Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervìce. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione».
Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d'Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: "Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre"».
Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.

Seconda Lettura (1 Tm 1, 12-17)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.
Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

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XXIII Domenica del tempo ordinario (4 settembre 2016)

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   XXIII Domenica del tempo ordinario (4 settembre 2016)  

Gesù unico punto di riferimento della e nella nostra vita


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 14, 25-33)
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo (…). Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Prima Lettura (Sap 9, 13-18)
Dal libro della Sapienza
Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza».

Seconda Lettura (Fm 1, 9-10.12-17)
Dalla lettera a Filèmone.
Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore. Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.  Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.

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XXII Domenica del tempo ordinario (28 agosto 2016)

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   XXII Domenica del tempo ordinario (28 agosto 2016)  

Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 14, 1.7-14)
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».


Prima Lettura (Sir 3, 19-21.30-31)
Dal libro del Siracide
Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso. Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore. Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato. Per la misera condizione del superbo non c'è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male. Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio.

Seconda Lettura (Eb 12, 18-19.22-24)
Dalla lettera agli Ebrei.
Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola.
Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell'alleanza nuova.

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XXI Domenica del tempo ordinario (21 agosto 2016)

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   XXI Domenica del tempo ordinario (21 agosto 2016)  

Sforzatevi di entrare per la porta stretta


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13, 22-30)
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: "Signore, aprici!". Ma egli vi risponderà: "Non so di dove siete". Allora comincerete a dire: "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze". Ma egli vi dichiarerà: "Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Prima Lettura (Is 66, 18-21)
Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore: «Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti. Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme - dice il Signore –, come i figli d'Israele portano l'offerta in vasi puri nel tempio del Signore. Anche tra loro mi prenderò sacerdoti levìti, dice il Signore».

Seconda Lettura (Eb 12, 5-7.11-13)
Dalla lettera agli Ebrei.
Fratelli, avete già dimenticato l'esortazione a voi rivolta come a figli: «Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio». È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.

Omelia
“Signore, sono molti o pochi quelli che si salvano?”. Gesù non risponde direttamente alla domanda di quel tale, lascia la risposta al mistero della misericordia del Padre; tuttavia, stimola all’impegno e mette in guardia dalla presunzione: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno”. Sono parole che inquietano, tanto più che poi, nell’evoluzione del racconto, la porta, da stretta, diventa chiusa. Ma come! È tutta la vita che cerco di entrare per quella porta e tu ora, Signore, mi dici: “Non so di dove sei?”.
1.
La porta è stretta perché si identifica solo con Gesù. L’ha detto lui: “Io sono la via, la verità e la vita”. Egli è l’unica via che conduce al cuore di Dio, l’unica verità che salva, l’unica vita che riempie di gioia. Per passare da quella porta ci è richiesto di aderire a lui; non con una fede superficiale, esteriore, ma con un’adesione del cuore che ci innesti nel suo amore e ci porti a fare della vita un dono, come ha fatto lui, fino alla croce!
La fede che si contenta di celebrare riti e osservare precetti non salva; Gesù ci chiede di cambiare il cuore, di entrare nel cerchio del suo amore. “Se quelli della nostra casa, della nostra strada, della nostra città avranno ancora sempre fame, avranno ancora sempre freddo, se saranno sempre così tristi, così ottenebrati, se saranno sempre così soli, noi saremo forse degli eroi, ma non saremo di quelli che amano Dio” (M. Delbrel, La gioia di credere).
2.
La porta è stretta perché richiede fatica. Il giorno del nostro Battesimo i nostri genitori e padrini si sono impegnati a rinunciare a Satana e a tutte le sue opere e seduzioni; e noi sperimentiamo ogni giorno come sia difficile lottare contro le tentazioni, sia quelle suadenti che quelle disperanti. Ma se non facciamo spazio, se non ci liberiamo dagli idoli, la grazia di Cristo non riuscirà a trovare casa dentro di noi
3.
La porta è stretta, ma tutti sono chiamati ad entrarci. Lo dice Gesù nel Vangelo: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel Regno di Dio”. Si tratta certamente dei cristiani, ma anche, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, di tutti gli uomini di buona volontà, a qualsiasi religione appartengano, che non pongano ostacoli all’attrazione d’amore del Cristo. Infatti, i confini della vera Chiesa di Gesù passano all’interno delle coscienze; la sua appartenenza decisiva non si esprime nella pratica esteriore, ma nella conversione del cuore.
4.
La porta è stretta, ma apre alla felicità. È una felicità che troveremo un giorno, in Paradiso; ma che possiamo sperimentare anche qui, su questa terra, perché l’amore ha la forza di trasfigurare ogni cosa.

 

Assunzione della Beata Vergine Maria (15 agosto 2016)

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   Assunzione della Beata Vergine Maria (15 agosto 2016)  

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1, 39-56)
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Prima Lettura (Ap 11,19;12,1-6.10)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo
Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l'arca della sua alleanza. Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio. Allora udii una voce potente nel cielo che diceva: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo».

Seconda Lettura (1Cor 15, 20-26)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi.
Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi.

Omelia
“Vergine, cattedrale del Silenzio,
anello d’oro
del tempo e dell’eterno:
tu porti la nostra carne in paradiso
e Dio nella carne” (D. M. Turoldo)

Maria è l’anello d’oro, dove il tempo e l’eternità si congiungono; l’anello d’oro dove si passano le frontiere, carne di donna in Paradiso, carne di Dio sulla terra; l’anello d’oro che avvicina il Cielo, che innalza la Terra (cf. E. Ronchi).
1.
Il 1° novembre 1950, Pio XII ha definito il dogma dell’Assunta: “Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria in anima e corpo”. L’assunzione di Maria è la vocazione di tutta l’umanità. Lei, nostra sorella maggiore, è andata avanti: il suo destino è il nostro; nel suo dogma sta il nostro futuro.
Ma, ahimè, la vita eterna suscita così poco interesse fra i cristiani, perché a volte la pensiamo come una vita diminuita rispetto a questa: anima senza corpo, spirito senza cuore, cuore senza emozioni. Ma non è così! Lo diciamo nel Credo: “Aspetto la risurrezione dei morti”; nell’antico simbolo degli Apostoli, che professiamo in Quaresima, diciamo anche più esplicitamente: “Credo nella risurrezione della carne”. E’ la risurrezione di questo corpo, con le sue pesantezze e fatiche, la sue gioie, la sua memoria, le sue trasfigurazioni (cf. E. Ronchi).
2.
Una prima icona che ci offre la Liturgia di oggi per entrare nel mistero dell’Assunta è quella del salmo 45, letto come salmo responsoriale:
“Il re è invaghito della tua bellezza.
E’ lui il tuo Signore: rendigli omaggio.
Entra la figlia del re: è tutta splendore,
tessuto d’oro è il suo vestito.
Dietro a lei le vergini, sue compagne
Condotte in gioia ed esultanza
Sono presentate nel palazzo del re”.
Si tratta di un salmo regale, composto forse in occasione del matrimonio del re; il salmo augura al re la benedizione di Dio e poi descrive la regina e le sue ancelle. Nella visione trasfigurata della Liturgia, questa scena diventa quella di Maria che entra in Paradiso, insieme a tutta l’umanità. Ci dice che la nostra vita, nonostante tutte le fatiche e i fallimenti, è un pellegrinaggio gioioso verso la vita. E lei, Maria, è in testa a questo immenso corteo: lei è la sorella che è andata avanti e noi la seguiamo, come amici, in danze di gioia, verso la nostra casa futura, verso la casa del re, invaghito della sua e della nostra bellezza (cf. E. Ronchi).
3.
Una seconda icona è quella, descrittaci dall’Apocalisse, della donna vestita di sole, incinta e nelle doglie del parto, e dell’enorme drago rosso, che cerca di divorare il suo figlio. Ci dice come il pellegrinaggio sia difficile e faticoso.
Maria ci aiuta. Invochiamola, come ci invita S. Bernardo:
“Chiunque tu sia,

che nel flusso di questo tempo ti accorgi che,
più che camminare sulla terra,
stai come ondeggiando tra burrasche e tempeste,
non distogliere gli occhi dallo splendore di questa stella,
se non vuoi essere sopraffatto dalla burrasca!

Se sei sbattuto dalle onde della superbia,
dell’ambizione, della calunnia, della gelosia,

guarda la stella, invoca Maria.
Se l’ira o l’avarizia, o le lusinghe della carne
hanno scosso la navicella del tuo animo, guarda Maria.

Se turbato dalla enormità dei peccati,
se confuso per l’indegnità della coscienza,
cominci ad essere inghiottito dal baratro della tristezza
e dall’abisso della disperazione, pensa a Maria.
Non si allontani dalla tua bocca e dal tuo cuore,

e per ottenere l’aiuto della sua preghiera,
non dimenticare l’esempio della sua vita.
Seguendo lei non puoi smarrirti,
pregando lei non puoi disperare.
Se lei ti sorregge non cadi,
se lei ti protegge non cedi alla paura,
se lei ti è propizia raggiungi la mèta”.

XX Domenica del tempo ordinario (14 agosto 2016)

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   XX Domenica del tempo ordinario (14 agosto 2016)  

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 12, 49-53)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione.
D'ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Prima Lettura (Ger 38, 4-6.8-10)
Dal libro del profeta Geremia
In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi». Essi allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremìa con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango. Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: «O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremìa, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremìa dalla cisterna prima che muoia».

Seconda Lettura (Eb 12, 1-4)
Dalla lettera agli Ebrei.
Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.
Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.

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XIX Domenica del tempo ordinario (07 agosto 2016)

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   XIX Domenica del tempo ordinario (07 agosto 2016)  

Siate pronti


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 12, 32-48)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo».
Allora Pietro disse: "Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?". Il Signore rispose: «Chi è dunque l'amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: "Il mio padrone tarda a venire" e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l'aspetta e a un'ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.»

Prima Lettura (Sap 18, 6-9)
Dal libro della Sapienza
La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà. Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici. Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te. I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri.

Seconda Lettura (Eb 11, 1-2. 8-19)
Dalla lettera agli Ebrei.
Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.

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XVIII Domenica del tempo ordinario (31 luglio 2016)

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   XVIII Domenica del tempo ordinario (31 luglio 2016)  

Anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 12, 13-21)
In quel tempo, uno della folla gli disse: “Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità”. Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divèrtiti!”.
Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Prima Lettura (Qo 1, 2; 2, 21-23)
Dal libro del Qoèlet
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.
Infatti, quale profitto viene all'uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!


Seconda Lettura (Col 3, 1-5. 9-11)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Colossesi.
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.
Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria.
Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato.
Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.

Omelia
1. Gesù ci mette in guardia oggi dall’avarizia (dal verbo aveo, desiderare avidamente). Il filosofo greco Democrito diceva che “gli avari si possono paragonare alle api. Lavorano come se vivessero in eterno”. Essi hanno l’impulso ad accumulare sempre di più, lavorano con accanimento, non riescono a riposarsi e a godersi la vita. In definitiva, essi non vivono; corrono, si sforzano, accumulano, ma non vivono. Il loro dio è l’attaccamento smodato alle ricchezze (o al lavoro, o allo studio). Esso è l’anti-dio, tanto che Gesù arriva a dire: “Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona” (Mt 6, 24).
2.
Come fare a combattere l’avarizia, liberando in noi la gioia di custodire con sapienza le creature di Dio? Non è prima di tutto una questione di rinunce da fare, ma di consapevolezza nuova da avere. E’ necessario essere un po’ poeti, un po’ mistici, un po’ innamorati e allora lo Spirito di Dio potrà fare breccia dentro di noi; ci aiuterà a cambiare le proporzioni delle cose e a sciogliere le catene che ci tengono avvinghiati agli idoli.
Può essere utile domandarci qual è la mèta della nostra vita: “Dove sto andando? Cosa sto cercando?”. Se rispondere a questa domanda ci risulta troppo difficile, allora può aiutarci un altro esercizio: “Immaginiamo di avere solo un giorno di vita e di stare per tornare al Creatore. Cosa vorremmo cambiare? Cosa fare? Che impronta lasciare in questo mondo?”. Questo esercizio ci aiuta a diventare più consapevoli, a smascherare gli idoli che rendono affannosa la nostra esistenza, a ritrovare l’essenziale. Ma anche semplicemente la preghiera silenziosa davanti all’Eucaristia potrà aiutarci nel processo di liberazione del nostro cuore e di trasformazione della nostra vita.
3.
Sciolti i lacci dell’avarizia, noi potremo liberare in noi la gioia di custodire con sapienza le creature di Dio. Si tratta di usare con rispetto dei beni di questo mondo, sapendo che non ci appartengono; di considerare gli abiti, il cibo, la casa, il denaro come un mezzo per vivere, non come il fine assoluto della nostra esistenza; di impegnarci con il nostro lavoro e il nostro studio a rendere migliore il mondo. Al massimo del nostro processo di liberazione noi non saremo attaccati a nulla, ma possederemo ogni cosa.
Un giorno, un saggio ha lasciato scritto: “Il vero senso della vita consiste nel piantare alberi alla cui ombra probabilmente non siederemo mai”. Questo vuol dire “custodire” il creato che ci è affidato; non solo per quanto riguarda gli alberi, ma per ogni cosa che ci è donata, compresa la nostra stessa vita. I grandi uomini… hanno piantato alberi di cui non hanno mai visto le vere dimensioni. Hanno costruito cattedrali di cui non hanno vissuto la completa realizzazione. Ma hanno avuto un sogno che ha cambiato il futuro. I frutti del loro lavoro sono stati raccolti generazioni dopo di loro. La vera grandezza è dimostrata … da chi si impegna con tutte le sue forze in progetti i cui frutti verranno goduti da altri (A. Grün, Il libro dell’arte della vita, p. 90).
4.
Questo discorso sulla custodia del creato vale ancor di più per la custodia delle persone che incontriamo sul nostro cammino.
Anche qui, la dinamica dell’avarizia ci spingerebbe ad aggrapparci, a trattenere, a possedere. Un rapporto di coppia, una relazione tra amici in cui uno si aggrappa all’altro, a lungo andare fallisce. Il rapporto con l’altro esiste solo se uno abbandona la presa sull’altro e lo lascia libero.
Noi ci aggrappiamo all’altro perché non vogliamo perderlo, perché ci aspettiamo da lui pienezza, gioia, amore, illudendoci che egli possa saziare la nostra fame e la nostra sete. Ma nessun essere umano può donarci qualcosa di assoluto; nessuna creatura può offrirci ciò che appartiene a Dio. Il dimenticarlo ci porta a soffocare l’altro con le nostre aspettative, a infrangere le nostre relazioni. Dobbiamo invece essere grati dell’amore che l’altro ci dà, sapendo che non è infinito e che non possiamo trattenerlo. Rimarremo così aperti a Dio e il fluire del suo amore in noi ci rinnoverà continuamente e caricherà di significato nuovo e di energia nuova tutte le nostre relazioni.

XVII Domenica del tempo ordinario (24 luglio 2016)

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   XVII Domenica del tempo ordinario (24 luglio 2016)  

Quando pregate, dite


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 11, 1-13)
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
"Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione"».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: "Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli"; e se quello dall'interno gli risponde: "Non m'importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani", vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Prima Lettura (Gn 18, 20-32)
Dal libro della Genesi
In quei giorni, disse il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».
Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore.
Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l'empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come l'empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo».
Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque».
Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».


Seconda Lettura (Col 2, 12-14)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Colossesi.
Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.
Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.

Omelia

1.
A livello di contenuti, il Signore ci insegna il “Padre nostro”, la preghiera dei figli e dei fratelli che raccoglie tutte le preghiere. In essa, infatti, non solo vengono domandate tutte le cose che possiamo rettamente desiderare, ma anche nell’ordine in cui devono essere desiderate. Il giornalista Luigi Accattoli, nel suo commento al Padre nostro, scrive che “comunicandoci per contagio i sentimenti di Gesù, il Padre nostro ci invita a pensare l’impensato e a cercare l’introvabile: il Regno che viene, il pane per tutti, la liberazione dal male e dal maligno. Chi lo recita ogni giorno come fosse la prima e l’ultima volta viene avviato a un’esperienza simile a quella dei mistici, che si inabissano in Dio” (L. Accattoli, Il Padre nostro e il desiderio di essere figli, EDB, Bologna 2005, pp. 60-61).

2. Ci sono due malattie che possono far morire la preghiera:
a) La prima malattia è la superstizione. “Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate” (Mt 6, 7-8). La preghiera è solo uno strumento che serve per metterci in contatto con Dio; non ha valore in sé, ma nella misura in cui ci fa da veicolo verso Dio. Non è la ripetizione di formule magiche che ottiene la trasformazione del mondo, ma la relazione che attraverso la preghiera viene a stabilirsi tra noi che preghiamo e Dio.
b) La seconda malattia è l’incoerenza, la distanza scandalosa tra il contenuto della preghiera e l’agire concreto. Dopo aver insegnato il Padre Nostro, Gesù conclude: “Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6, 14).

3. Ma, ammesso che la nostra preghiera sia senza malattie, è proprio vero che essa sia efficace? Possiamo davvero intervenire sull’andamento delle cose e indurre Dio a modificare le sue decisioni? Sull’efficacia della preghiera, è interessante un’intuizione di un antico scrittore cristiano, Origene. Mentre noi, egli dice, siamo soggetti a categorie temporali, Dio è al di là di ogni tempo e, dunque, nel suo cuore eterno è presente sia la nostra preghiera che il suo esaudimento. La nostra preghiera infatti, entrando nell’eternità, fa un tutt’uno con le decisioni divine; addirittura essa risuona fin dall’inizio insieme con la parola creatrice di Dio.

Nessuna preghiera rimane disattesa da Dio. Come insegnava Meister Eckart, “Dio non può che dare se stesso. Non può dare nulla che sia meno di se stesso. Ma dandoci se stesso, Dio ci dà tutto”.

Omelia17lug16

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   Omelia del 17 luglio 2016

Ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10, 38-42)
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Prima Lettura (Gn 18, 1-10)
Dal libro della Genesi
In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno.
Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po' d'acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa' pure come hai detto».
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All'armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l'albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov'è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».


Seconda Lettura (Col 1, 24-28)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Colossesi.
Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi.
A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.

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   Omelia del 10 luglio 2016

Il buon samaritano


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10, 25-37)
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa' questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: "Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno". Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' così».

Prima Lettura (Dt 30, 10-14)
Dal libro del Deuteronomio
Mosè parlò al popolo dicendo:
«Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l'anima.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: "Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?". Non è di là dal mare, perché tu dica: "Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?". Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».


Seconda Lettura (Col 1, 15-20)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Colossesi.
Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

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   Omelia del 3 luglio 2016

La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10, 1-12.17-20)
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: "Pace a questa casa!". Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: "È vicino a voi il regno di Dio". Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: "Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino". Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

Prima Lettura (Is 66, 10-14)
Dal libro del profeta Isaia
Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l'amate.
Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto.
Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria.
Perché così dice il Signore: «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti.
Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati.
Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati.
Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l'erba.
La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi».


Seconda Lettura (Gal 6, 14-18)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Gàlati.
Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l'Israele di Dio.
D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

Omelia
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   Omelia del 26 giugno 2016

Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9, 51-62)
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l'ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Prima Lettura (1 Re 19, 16. 19-21)
Dal primo libro dei Re
In quei giorni, il Signore disse a Elìa: «Ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto».
Partito di lì, Elìa trovò Eliseo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elìa, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello.
Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elìa, dicendogli: «Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò». Elìa disse: «Va' e torna, perché sai che cosa ho fatto per te».
Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elìa, entrando al suo servizio.


Seconda Lettura (Gal 5, 1. 13-18)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Gàlati.
Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.
Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l'amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge.

Omelia
Dalla Galilea, Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme, la Città Santa, là dove si sarebbe compiuta la sua "assunzione" alla Croce e alla Gloria. Egli, come il Servo di Javhè, davanti alle sofferenze che lo attendevano "rese duro il suo volto", atteggiamento che dice la sua piena accettazione della missione che gli era affidata e la sua totale fiducia nel Padre che lo avrebbe salvato.
Il viaggio di Gesù verso Gerusalemme non è prima di tutto geografico - sarebbe impossibile seguirlo su di una carta geografica -, ma spirituale. E' il suo "esodo" da questo mondo al Padre (cf Lc 9,31), un viaggio che ogni discepolo deve compiere se vuole avere parte con Gesù.
1.
Ogni discepolo, all'inizio del suo itinerario verso Gerusalemme, avverte il fascino straordinario di Gesù e del suo messaggio, si sente pieno di entusiasmo e pronto a dire con l'oscuro discepolo del Vangelo: "Ti seguirò dovunque tu vada". Anche Pietro, quando ancora non aveva compreso pienamente cosa significasse seguire il Maestro, aveva esclamato: "Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte" (Lc 22, 33).
È normale e salutare che la prima stagione della vita spirituale sia bella, fiorita, ricca di promesse, in cui, certo, si avvertono le difficoltà, ma si pensa che con la grazia di Dio e un po' di buona volontà si riuscirà a superarle tutte facilmente. Al discepolo della prima ora non sembra che seguire il Signore presenti delle difficoltà insormontabili.
2.
Con il passare del tempo, però, le esigenze di una vita comoda, il desiderio di cose ragionevoli e raccomandate dall' ambiente in cui si vive - come sono, per esempio, "seppellire il padre" o "congedarsi da quelli di casa" - diventano molto forti. Così pure, divengono brucianti le incomprensioni o addirittura l'aperta opposizione dei Samaritani di sempre, di coloro cioè che si oppongono al compimento della missione di Gesù a Gerusalemme.
I quadretti dipinti da Luca fanno riferimento, al di là delle specifiche situazioni concrete che descrivono, a tutto ciò che ritarda o fa deviare il viaggio dei discepoli verso Gerusalemme. Si tratta di tentazioni della carne e dello spirito, continuamente in agguato per snervare e intorpidire la decisione di seguire Gesù; si tratta di "pressioni" del mondo che vogliono far apparire insignificante o ridicolo il messaggio del Vangelo.
Il viaggio del discepolo, che all'inizio appariva facile e veloce, comincia man mano a rallentare e a fare i conti con il peso e la fatica. A questo punto, è possibile lo scoraggiamento, con la tentazione realistica di voltarsi indietro e di abbandonare la partita. E' inoltre facile il rischio di cedere alla mediocrità. Visto che vivere come mi chiede il Signore è impossibile, allora trovo un modus vivendi accettabile; rinuncio alla

radicalità, all'eroismo, alla santità della vita, senza comunque dare scandalo, e contentandomi di una onesta e dignitosa via di mezzo.
3.
Cos'è che fa fare il salto di qualità del discepolato, che fa scattare la decisione di "rendere duro il proprio volto" e di andare fino in fondo, che fa accettare le esigenze di Gesù fino alle sue estreme conseguenze? Cos'è che ha la forza di spingere il discepolo ad andare avanti, nonostante tutto, nel proprio "esodo" dalla Galilea a Gerusalemme?
La risposta è di quelle che sorprendono per la loro evidenza e semplicità; eppure è una risposta che generalmente non si trova subito, all'inizio del cammino, ma solo dopo tanta esperienza di vita. Eccola: si può seguire Gesù solo con Gesù. Per comprendere la portata di questa verità, bisogna aver sperimentato che non c'è nulla su cui poter poggiare i piedi: non i beni, non le doti, non il lavoro o lo studio, neanche le relazioni. Nulla! Solo il Signore, solo il suo Amore!
Quando avremo avuto il coraggio di fare il salto della fede e di affidarci a Gesù contro ogni speranza, allora comprenderemo che con Gesù è possibile vivere nella gioia, sperimentare l'amore, nutrire la speranza. Ci accorgeremo che è possibile vivere le beatitudini evangeliche, essere poveri, casti e misericordiosi, ritrovarsi in tutte le esigenze poste da Gesù.

Omelia19giu16

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   Omelia del 19 giugno 2016

Chi dite che io sia?


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9, 18-24)
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda:
«Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.
«Il Figlio dell'uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

Prima Lettura (Zc 12, 10-11)
Dal libro del profeta Zaccaria
Così dice il Signore:
«Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito.
In quel giorno grande sarà il lamento a Gerusalemme, simile al lamento di Adad-Rimmon nella pianura di Meghiddo.
In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l'impurità».


Seconda Lettura (Gal 3, 26-29)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Gàlati.
Fratelli, tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo.
Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.
Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.

Omelia
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Omelia12giu16

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   Omelia del 12 giugno 2016

Ha molto amato!


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 7, 36-8,3)
In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo.
Vedendo questo, il fariseo che l'aveva invitato disse tra sé: "Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!".
Gesù allora gli disse: "Simone, ho da dirti qualcosa". Ed egli rispose: "Di' pure, maestro". "Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?". Simone rispose: "Suppongo sia colui al quale ha condonato di più".
Gli disse Gesù: "Hai giudicato bene".
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: "Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco". Poi disse a lei: "I tuoi peccati sono perdonati". Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: "Chi è costui che perdona anche i peccati?". Ma egli disse alla donna: "La tua fede ti ha salvata; va' in pace!".

Prima Lettura (2Sam 12,7-10.13)
Dal secondo libro di Samuele
In quei giorni, Natan disse a Davide: «Così dice il Signore, Dio d'Israele: Io ti ho unto re d'Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa d'Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi aggiungerei anche altro.
Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Urìa l'Ittìta, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammonìti.
Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Urìa l'Ittìta».
Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai».


Seconda Lettura (Gal 2,16. 19-21)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Gàlati.
Fratelli, sapendo che l'uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno.
In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.
Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano.

Omelia
1. Il sabato, dopo l’ascolto della Torah e la preghiera in sinagoga, è un onore per Simone, fariseo irreprensibile e colto, accogliere a casa sua il giovane e promettente rabbi Gesù di Nazareth. Ma ecco che, nel bel mezzo del pranzo entra una donna, una peccatrice, si dirige verso Gesù, si accoccola ai suoi piedi, glieli bagna con le sue lacrime, li asciuga con i capelli, li bacia e li cosparge di profumo. Probabilmente, questa donna aveva incontrato Gesù per le strade di qualche villaggio; egli, com’è il suo stile, l’aveva accolta, guardata con occhio puro, le aveva parlato, ridato speranza; e lei aveva riacquistato la sua dignità. È pertanto profondamente riconoscente a quel rabbi di Nazareth che gli ha cambiato la vita. Ma quello che sta facendo ora è scandaloso! Simone pensa che, se il rabbi fosse un profeta, saprebbe di quale genere è la donna che lo tocca. Gesù intuisce i cattivi pensieri del padrone di casa e confronta l’atteggiamento di Simone con quello della donna; alla fine, per lui c’è un rimprovero, per lei, una lode. Il motivo è che Simone si è semplicemente attenuto alle regole, la peccatrice si è lasciata guidare dall’amore.
2.
L’amore porta la peccatrice ad inventare un linguaggio nuovo, inedito: il linguaggio delle lacrime, del bacio, del profumo, un linguaggio coraggioso, che esce dagli schemi e dalle regole. L’amore vero è così: sa trovare il modo di arrivare al cuore, non è mai scontato, ripetitivo, dovuto. Per quanto nuovo, è un linguaggio che tutti comprendono, che arriva al cuore di Dio e degli uomini.
3.
Nel gesto della peccatrice sorprende il profumo. Perché tanto spreco? Perché l’amore esce dallo schema del dare e dell’avere, segue una logica di gratuità, riscatta con un solo gesto tutta una storia di infedeltà. Il superfluo appartiene al linguaggio dell’amore.
4.
Questo nostro Signore che loda il gesto della peccatrice e ama il profumo non è il ragioniere capo dell’universo, che registra debiti e crediti di tutti; egli è l’innamorato che desidera per i suoi figli una vita profonda, gioiosa, ricolma di gioia, di canto, di amicizia.
Noi cristiani siamo unti di olio profumato il giorno del Battesimo e della Cresima: quel crisma esprime la sovrabbondanza dell’amore di Dio riversato nei nostri cuori. Non vergogniamoci di far sentire la fragranza di questa unzione e di ungere di profumo i piedi di Gesù e dei nostri fratelli.

Omelia5giu16

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   Omelia del 5 giugno 2016

Ragazzo, dico a te, alzati!


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 7,11-17)
In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

Prima Lettura (1Re 17,17-24)
Dal primo libro dei Re
In quei giorni, il figlio della padrona di casa, [la vedova di Sarepta di Sidòne,] si ammalò. La sua malattia si aggravò tanto che egli cessò di respirare. Allora lei disse a Elìa: «Che cosa c’è fra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio?».
Elia le disse: «Dammi tuo figlio». Glielo prese dal seno, lo portò nella stanza superiore, dove abitava, e lo stese sul letto. Quindi invocò il Signore: «Signore, mio Dio, vuoi fare del male anche a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio?». Si distese tre volte sul bambino e invocò il Signore: «Signore, mio Dio, la vita di questo bambino torni nel suo corpo».
Il Signore ascoltò la voce di Elìa; la vita del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere. Elìa prese il bambino, lo portò giù nella casa dalla stanza superiore e lo consegnò alla madre. Elìa disse: «Guarda! Tuo figlio vive». La donna disse a Elìa: «Ora so veramente che tu sei uomo di Dio e che la parola del Signore nella tua bocca è verità».

Seconda Lettura (Gal 1,11-19)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Gàlati.
Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.
Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri.
Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.

Omelia
Gesù sta entrando con i suoi discepoli nella città di Nain e incrocia un corteo funebre, che sta portando a sepoltura un ragazzo, unico figlio di una madre rimasta vedova. Gesù, vedendo il dolore della madre, compie il miracolo, pronuncia le parole “Ragazzo, dico a te, alzati” e, subito, il morto si alzò a sedere e cominciò a parlare.
1. La parola di Gesù risuscita i morti: il cadavere del ragazzo, ma anche quando ci sentiamo morti dentro. Non c’è niente di troppo morto per la potenza della Parola di Gesù! Essa è audace e autorevole, sa toccare e raggiungere “il tragico dell’esistenza umana”, è in grado di risuscitare i corpi, guarire i cuori, risanare le anime.
“Il nostro problema non è il rifiuto della Parola di Dio, ma il fatto di renderla vuota, devitalizzata, inerte, quasi una carica disinnescata, incapace di esplodere con tutti i suoi germi di vita” (E. Ronchi).
2. C’è però un miracolo più grande che Gesù compie a Nain. Racconta Luca: “Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: ‘Non piangere!’”. La compassione di Gesù è il miracolo più grande! Questa compassione lo induce a resuscitare il figlio e, di conseguenza, a far risorgere la madre. Ci sono due risurrezioni: quella del figlio e quella della madre: il figlio risorge dalla morte, la madre dalla disperazione.
La parola che dice Gesù, è una parola che possiamo pronunciare anche noi, se siamo capaci di compassione. A tanti, possiamo dire: “Non piangere” e, così, portare consolazione, asciugare una lacrima, rendere meno dura la solitudine. Sarà l’innesco che creerà una reazione a catena di solidarietà e compirà il miracolo più grande dell’amore.
3. I miracoli di Nain avvengono nel contesto di un incontro casuale: c’è un incrocio tra il corteo funebre che esce dalla città e il corteo che accompagna Gesù che entra in città. Gesù trasforma un semplice incrocio casuale in un incontro profondo e determinante. Egli, incontrando la povera vedova affranta dal dolore, decide liberamente di mettersi in relazione e di compromettersi.
Anche nella nostra vita, quanti incroci casuali che potrebbero diventare incontri profondi e determinanti! Dipende dallo sguardo e, ancor più, dal cuore. Forse, non tutti avremo il coraggio di dire: “Ragazzo, dico a te, alzati”; tutti però possiamo dire “Non piangere!”.

Omelia29mag16

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   Omelia del 29 maggio 2016

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,11b-17)
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Prima Lettura (Gn 14,18-20)
Dal libro della Genesi
In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici». E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.

Seconda Lettura (1Cor 11,23-26)
Dalla prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi.
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

Omelia

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Omelia22mag16

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   Omelia del 22 maggio 2016

Santissima Trinità


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 16, 12-15)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.»


Prima Lettura (Prv 8,22-31)
Dal libro dei Proverbi
Così parla la Sapienza di Dio:
«Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, all'origine.
Dall'eternità sono stata formata,
fin dal principio, dagli inizi della terra.
Quando non esistevano gli abissi, io fui generata,
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua;
prima che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline, io fui generata,
quando ancora non aveva fatto la terra e i campi
né le prime zolle del mondo.
Quando egli fissava i cieli, io ero là;
quando tracciava un cerchio sull'abisso,
quando condensava le nubi in alto,
quando fissava le sorgenti dell'abisso,
quando stabiliva al mare i suoi limiti,
così che le acque non ne oltrepassassero i confini,
quando disponeva le fondamenta della terra,
io ero con lui come artefice
ed ero la sua delizia ogni giorno:
giocavo davanti a lui in ogni istante,
giocavo sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo».


Seconda Lettura (Rm 5,1-5)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani.
Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l'accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.
E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza.
La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

Omelia

Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo

(Gv 16,12-15  -  cTrinità)

1. La Trinità è un mistero! Però, come scrive A. de Saint Exupéry, “il mistero non è un muro, ma un orizzonte. Il mistero non è una mortificazione dell’intelligenza, ma uno spazio immenso che Dio offre alla nostra sete di verità”.

2.
Come possiamo inoltrarci in questo mistero? Ci sono tre vie:
a) Contemplando il creato: “Per il credente contemplare il creato è anche ascoltare un messaggio, udire una voce paradossale e misteriosa. Possiamo dire che accanto alla rivelazione propriamente detta contenuta nelle Sacre Scritture c’è una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e nel calare della notte” (Laudato sii, n. 85)
b) Ascoltando il cuore: al cap. 23 dei Promessi Sposi del Manzoni, è illuminante il dialogo tra l’Innominato, che ha l’inferno nel cuore, e il card. Federigo. L’Innominato esclama: “Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?”. Il card. Federigo gli risponde: “Voi me lo domandate? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore che v’opprime, che vi agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo contempliate, l’imploriate?”. Dio ci parla, fa sentire la sua voce nel più intimo del nostro cuore, nel più profondo della nostra coscienza, solo che abbiamo la sapienza di far tacere tanti rumori e darci il tempo di stare con lui.
c) Scrutando la Sacra Scrittura: Gesù ci rivela che Dio è amore, non un essere solitario, ma l’eterna danza d’amore dei Tre che si amano.

3.
Noi siamo discepoli fedeli di questo Dio trinitario se entriamo nel mistero dell’amore. Raccontava Madre Teresa di Calcutta: “Un maomettano era con p. Gabric e guardava una sorella che fasciava con tanto amore le piaghe di un lebbroso. La suora non parlava, ma agiva raccolta. Il maomettano si volse al padre e gli disse: ‘Per tutti questi anni ho creduto che Gesù fosse un profeta, ma oggi capisco che è Dio perché ha messo tanto amore nella mani di questa sorella”.

Chiediamo a Dio Trinità di riempire anche le nostre mani del suo amore!

Omelia15mag16

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   Omelia del 15 maggio 2016

Domenica di Pentecoste


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14, 15-16. 23-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Prima Lettura (At 2,1-11)

Dagli Atti degli Apostoli
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».


Seconda Lettura (Rm 8,8-17)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani.
Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.
Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.
E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

Omelia

“Dal suo grembo sgorgheranno fiumi d’acqua viva”

(cPentecoste – Gv 7,37-39)

Gesù partecipa alla festa delle Capanne, che si celebrava in autunno. Essa ricordava l’abitazione precaria del popolo ebraico nei quarant’anni del deserto e, in particolare, faceva memoria dell’acqua scaturita dalla roccia (cf Es 17,1-7). Nell’ultimo giorno della festa, che durava sette giorni, Gesù, ritto in piedi, probabilmente all’ingresso del Tempio, grida: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me”.

1.
“Se qualcuno ha sete”. Quali sono le nostre aridità? C’è anzitutto l’aridità della fede, che si esprime nell’oscurità del senso, nella fatica della preghiera. Quando l’aridità è accompagnata dalla sete, è un segno positivo: quello che ci sta capitando è la prova della notte, che Dio ci concede per purificarci e aprirci a un progresso nella vita spirituale. Quando l’aridità è senza sete, allora è frutto della dissipazione e della pigrizia, ci fa ripiegare su noi stessi, spegne ogni desiderio e ogni ideale. In ogni caso, si tratta di situazioni che hanno bisogno di tanta acqua. C’è poi l’aridità dell’amore, quando i rapporti, anche con le persone più vicine, diventano freddi, incapaci di comunicazione, di generosità, di slancio; quando risulta difficile l’autenticità, l’amicizia vera. C’è infine l’aridità della speranza. A volte, veniamo a trovarci in difficoltà che sembrano muri invalicabili, in situazioni che non lasciano trasparire prospettive. Abbiamo faticato tanto, abbiamo pregato a lungo, ma senza risultati.

2. Se qualcuno sperimenta queste aridità, Gesù gli dice, “venga a me e beva chi crede in me”. Egli, nel contesto della festa delle Capanne, si presenta come la roccia da cui scaturisce l’acqua nel deserto (Es 17,1-7), il tempio da cui sgorga l’acqua risanatrice (Ez 47,1), la sorgente della salvezza da cui attingere acqua con gioia (Is 12,3). Altrove, egli si rivela come il pane della vita, la luce del mondo, la via, la verità e la vita; qui, non dice “io sono l’acqua viva”, ma “vi do l’acqua viva”. Cos’è quest’acqua viva che Gesù ci dona? Come spiega l’evangelista Giovanni, è lo “Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui”.

3.
Il testo di Giovanni continua poi: “Come dice la Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Si tratta del grembo di Gesù o del grembo del credente? Se facciamo riferimento alla conclusione del racconto della Passione secondo Giovanni, si tratta del grembo di Gesù: dal suo costato trafitto, uscirono sangue e acqua, segni della grazia. Se accostiamo invece il racconto della Samaritana, troviamo un testo che ci fa pensare al grembo del credente: “Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14). In realtà, Giovanni ci orienta a mettere insieme le due interpretazioni: da Gesù sgorga l’acqua viva dello Spirito che diventerà sorgente zampillante in chi la beve. Si tratta dei doni e dei frutti dello Spirito, di quella consolazione spirituale che ci rallegra il cuore e ci permette di sopportare con serenità le prove e le difficoltà della vita.

4.
Preghiamo dunque con assiduità lo Spirito: “Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto. O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli”. Invadi il nostro cuore e sazia la nostra sete, o Spirito di Dio.

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   Omelia dell'8 maggio 2016

"Ascensione del Signore"


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,46-53)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Prima Lettura (At 1,1-11)

Dagli Atti degli Apostoli
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».


Seconda Lettura (Eb 9,24-28;10,19-23)
Dalla lettera agli Ebrei.
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.
Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.

Omelia

“Si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”

(Lc 24, 46-53 – Ascensione)

1. “Una volta il semaforo che sta a Milano in piazza del Duomo fece una stranezza. Tutte le sue luci, ad un tratto, si tinsero di blu, e la gente non sapeva più come regolarsi. – Attraversiamo o non attraversiamo? Stiamo o non stiamo? Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeva l’insolito segnale blu, di un blu che così blu il cielo di Milano non era stato mai. In attesa di capirci qualcosa gli automobilisti strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire lo scappamento e i pedoni più grassi gridavano: – Lei non sa chi sono io! Gli spiritosi lanciavano frizzi: – Il verde se lo sarà mangiato il commendatore, per farci una villetta in campagna. – Il rosso lo hanno adoperato per tingere i pesci ai Giardini. – Col giallo sapete che ci fanno? Allungano l’olio d’oliva. Finalmente arrivò un vigile e si mise lui in mezzo all’incrocio a districare il traffico. Un altro vigile cercò la cassetta dei comandi per riparare il guasto, e tolse la corrente. Prima di spegnersi il semaforo blu fece in tempo a pensare: “Poveretti! Io avevo dato il segnale di ‘via libera’ per il cielo. Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare. Ma forse gli è mancato il coraggio” (G. RODARI, Favole al telefono, Einaudi, Torino).

2.
Il semaforo blu è la scoperta improvvisa di una nuova dimensione. Gli uomini sono abituati, come gli automobilisti, a vivere con la testa china sul volante, badando solo alla strada, preoccupati del lavoro, del denaro, delle mille grane quotidiane. Il semaforo che diventa blu ci dice: “Fermi! Non c’è solo la terra; c’è anche il cielo!”. La festa dell’Ascensione è il semaforo blu che ci dà via libera per il cielo. Gesù entra in una condizione nuova, entra definitivamente nella sfera di Dio; e “dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria” (Prefazio).

3.
Il mistero dell’Ascensione:
          a) ci indica la meta del nostro pellegrinare;
          b) ci permette pertanto di dare un significato nuovo a ogni frammento della nostra vita;
          c) riscattando anche le sofferenze del momento presente che “non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi”;
          d) ci assicura che il nostro desiderio di Pienezza troverà finalmente il suo compimento.

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   Omelia del 01 maggio 2016

"Vi lascio la pace"


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,23-29)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.»

Prima Lettura (At 15, 1-2. 22-29)

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l'usanza di Mosè, non potete essere salvati».
Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d'accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch'essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agl'idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».


Seconda Lettura (Ap 21, 10-14. 22-23)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.
L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello. In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello.

Omelia
1. “Se uno mi ama osserverà la mia parola”. Se ci chiedono cosa caratterizza un cristiano, a volte rispondiamo che è uno che va a Messa la domenica, osserva i comandamenti, mangia di magro i venerdì di Quaresima. Oggi Gesù corregge il tiro: i suoi discepoli sono coloro che lo amano e perciò osservano la sua parola. E’ essenziale la relazione con Lui, una relazione d’amore, che ti fa entrare nel suo orizzonte di vita e coinvolgere dal suo Mistero!
2. “E il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Se entriamo in una relazione d’amore con Gesù, noi diventiamo tempio e tabernacolo di Dio. Giovanni, che nell’Apocalisse descrive la nuova Gerusalemme, osserva che al suo interno manca il tempio: l’Onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio. Qui Gesù osa ancora di più: siamo noi la dimora del Padre e del Figlio, il loro tempio. “Noi siamo il cielo di Dio, abitato da Dio intero, cielo spazioso in cui spazia il Signore della vita. Un campo dove cade pioggia di vita, in cui il sole sveglia i germogli di grano” (E. Ronchi).
3. “Ma il Paràclito, lo Spirito che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Il discepolo, dimora del Padre e del Figlio, è messo in sintonia con lo Spirito. Compito dello Spirito è ricordare e insegnare, riportare al cuore le grandi parole di Gesù e comunicare nuove ispirazioni divine. Egli ci fa intravvedere orizzonti sconfinati, ci spinge a prendere il largo, ci domanda di non aver paura dei sogni.
Ecco la carta d’identità del discepolo: essere dimora del Padre e del Figlio, sintonizzato con lo Spirito. Vuol dire vento e fuoco, gioia e amore. Sono un cristiano così? Gesù mi offre un criterio sicuro per verificarlo.
4. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi”. Quando Gesù pronuncia queste parole, vige nel mondo la pax romana: non ci sono guerre, tutti i popoli sono sottomessi a Roma. Alla base di questa pace c’è la schiavitù, l’emarginazione, l’oppressione dei vinti e dei poveri. Al contrario, la pace che dà Gesù mette al primo posto l’amore, relazioni di rispetto, il servizio disinteressato, l’accoglienza e il sostegno degli ultimi.

Mi domando: Il mio cuore, nonostante sia provato dalle vicende della vita, è in pace? Sono un costruttore di pace? Diffondo attorno a me bontà, benevolenza, gioia? Se posso rispondere di sì, beato me! Se invece trovo nel mio cuore tristezza e angoscia, che aspetto? Proprio da questo momento posso aprire il mio cuore a Dio, diventare sua dimora e vivere d’amore!

Udienza Papa Sebastiano

  • Published in Foto

  Udienza con Papa Francesco

Sebastiano Fortin e sua mamma all'udienza con Papa Francesco il 13 aprile 2016.


Pellegrinaggio Giubilare a Roma

  Pellegrinaggio giubilare a Roma


Giovedì 5 maggio alle ore 21.00
, in patronato, incontro dei partecipanti al Pellegrinaggio Giubilare a Roma del 16-18 maggio per i dettagli organizzativi e il saldo delle quote di partecipazione.

Chi non potesse essere presente è pregato comunque di comunicare il luogo e data di nascita per la registrazione alla “Casa Giovanni Paolo II”.

 

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