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Omelia24apr16

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   Omelia del 24 aprile 2016

V Domenica di Pasqua


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 13,31-33a.34-35)
Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi.
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Prima Lettura (At 14, 21-27)

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni».
Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto.
Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede.


Seconda Lettura (Ap 21, 1-5)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.
Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate». E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».

Omelia
1. Le parole di Giovanni 13 acquistano una densità tutta particolare se prendiamo consapevolezza del contesto in cui Gesù le ha pronunciate duemila anni fa e di quello in cui noi le ascoltiamo oggi.
Il contesto evangelico è quello dell’Ultima Cena, il pasto in cui Gesù sta  per accomiatarsi dai suoi discepoli per tornare al Padre.  Pensiamo all’esperienza umana di un padre (o di una madre) sul letto di morte, con davanti a sé i propri figli. In quel momento, ciò che egli (o ella) vuole trasmettere loro sono le parole più sacre, più vive, più essenziali. Quelle parole, sigillate dalla definitività della morte, diventano per i figli un testamento da custodire, un mandato da realizzare. E’ appunto nell’imminenza consapevole della sua morte che Gesù dice ai suoi discepoli: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri.
Ma, oltre al contesto evangelico, c’è il nostro contesto storico, che fa acquistare alle parole che abbiamo proclamato una densità tutta particolare. E’ il contesto delle nostre famiglie e della nostra comunità parrocchiale, dell’Italia e del mondo intero. E’ il contesto della crisi economica, dell’esodo di milioni di persone in fuga da guerra e povertà, di tanti di noi che perdono fede e speranza. In questo contesto, irrompe oggi il testamento di Gesù: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri.
2.
Che cosa significa comandamento nuovo? Una prima risposta potrebbe essere quella di contrapporre il comandamento di Gesù ai molti comandamenti dell'Antico Testamento. In questo senso esso sarebbe nuovo, per la rilevanza nuova che acquista.
Questo è vero, ma mi pare che ci sia una risposta ancora più profonda, suggeritaci da Agostino. Quello di Gesù è un comandamento nuovo rispetto agli antichi perché li rende nuovi. Non si tratta dunque di un altro comandamento, ma di una comprensione nuova degli antichi, di una capacità nuova di scendere in profondità.
Si tratta della spiegazione che dava già Origene. Egli vedeva nel comandamento nuovo dell’amore lo sviluppo del comandamento antico di non uccidere. Quanto più si comprende in profondità il comandamento di non uccidere, - diceva - tanto più si innesca un progressivo affinamento della coscienza e del cuore. Quanto più si cammina sulla strada dell’amore, tanto più diventa impossibile fermarsi in superficie. Allora, non è più solo uccidere il fratello che ci ripugna, ma anche soltanto dirgli stupido. Qui sta la novità del comandamento nuovo: nella comprensione nuova dell’antico, fino alle sue estreme esigenze.
Ciò è possibile non in forza della carne e del sangue, ma per potenza di Spirito Santo. Quel come io ho amato voi è indicativo. L’avverbio come (kathòs) esprime un rapporto di causalità: "Dal momento che io vi ho amato, vi ho dato l'energia di corrispondere al mio amore e di amarvi gli uni gli altri come io ho amato voi".
3. L'amore - ci insegna Gesù - è il modo più efficace di annunciare il Vangelo. Ciò significa che la missione della Chiesa trova la sua massima efficacia nella testimonianza dell'amore reciproco. E' questo il sentire vivo delle prime comunità cristiane, l'intuizione che ha condotto gli eremiti a fare vita in comune.
Guardate come si amano. Se si potesse dire questo di noi, delle nostre famiglie, delle nostre comunità, noi saremmo una predicazione vivente ed efficace del Vangelo di Gesù. E basterebbe poco altro per far breccia in cuori lontani, in città refrattarie. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri.
Non è forse perché manca il più che a volte si fa il molto?


Omelia17apr16

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   Omelia del 17 aprile 2016

IV Domenica di Pasqua


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Prima Lettura (At 13,14.43-52)
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia in Pisìdia, e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero.
Molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio.
Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».
Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.


Seconda Lettura (Ap 7,9.14-17)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.
Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.  E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».

Omelia
1. “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. I discepoli di Gesù hanno le antenne per sentire l’attrazione a Gesù. Infatti, affinché avvenga il miracolo della conversione, non è necessario sapere di più, ma sentire e vedere di più, lasciare che il cuore ascolti. “Beati quelli che sanno ascoltare in profondità, perché vedranno Dio! A noi sembra incredibile che Dio ci parli, eppure egli lo fa ininterrottamente. Perché allora non udiamo la sua voce? Semplicemente perché non stiamo in ascolto, non siamo sulla lunghezza d’onda della sua Parola” (Suenens).
Non è facile ascoltare il Pastore: tante voci sovrastano la sua voce, la confondono, perché vogliono portarci lontano da Gesù; sono voci suadenti, come quelle delle Sirene.
Bisogna che facciamo silenzio attorno e dentro di noi e allora potremo udire nitidamente il Pastore che ci parla.
2.
L’udire (“audire”) si apre naturalmente all’obbedire (“ob-audire”); il discepolo che ascolta il Pastore, lo segue volentieri. Osserva don Tonino Bello che “si sente spesso parlare di obbedienza cieca. Mai di obbedienza sorda. Sapete perché? Per spiegarvelo devo ricorrere all’etimologia la quale, qualche volta, può dare una mano d’aiuto anche all’ascetica. Obbedire deriva dal latino ob-audire, che significa: ascoltare stando di fronte. Quando ho scoperto questa origine del vocabolo, anch’io mi sono progressivamente liberato dal falso concetto di obbedienza inteso come progressivo azzeramento della mia volontà, e ho capito (…) che chi obbedisce non annulla la sua libertà, ma la esalta” (Maria, donna dei nostri giorni, Ed. Paoline 1996).
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Preghiamo lo Spirito, perché ci metta in sintonia con il Pastore e ci renda forti per seguirlo sulle strade dell’Amore!

Omelia10apr16

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   Omelia del 10 aprile 2016

III Domenica di Pasqua


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 21, 1-19)
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?". Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "È il Signore!". Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: "Portate un po' del pesce che avete preso ora". Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: "Venite a mangiare". E nessuno dei discepoli osava domandargli: "Chi sei?", perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci i miei agnelli". Gli disse di nuovo, per la seconda volta: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pascola le mie pecore". Gli disse per la terza volta: "Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?". Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: "Mi vuoi bene?", e gli disse: "Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi". Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: "Seguimi".

Prima Lettura (At 5, 27-32. 40-41)
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, il sommo sacerdote interrogò gli apostoli dicendo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest'uomo».
Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono».
Fecero flagellare [gli apostoli] e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero in libertà. Essi allora se ne andarono via dal Sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.


Seconda Lettura (Ap 5, 11-14)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.
Io, Giovanni, vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce:
«L'Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione».
Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano:
«A Colui che siede sul trono e all'Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli».
E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.

Omelia
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: Simone, figlio di Giovanni, mi ami?”
1.
Sorprende l’appellativo “Simone, figlio di Giovanni” con cui Gesù si rivolge a Pietro. E’ questo l’unico punto (ricordatoci dall’evangelista) in cui Gesù chiama Pietro con il suo soprannome. Esso era emerso solo nel loro primo incontro, quando Gesù disse a Pietro: Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (Gv 1, 42). Perché ora Gesù usa ancora quel vecchio soprannome?
Probabilmente per indicare l’ambiguità con cui Pietro seguiva ancora il Signore. Simone di Giovanni significa “Simone, discepolo di Giovanni il Battista”: ci orientano in questa direzione il testo di Gv 1, 42 e il fatto che il patronimico proposto da Matteo (16,17) sia figlio di Giona.
Come discepolo di Giovanni il Battista, Pietro si presentava dunque come un riformista, come uno che aveva rotto con l’istituzione giudaica e che sì, si era affidato a Gesù, ma considerandolo come il Messia trionfatore, che avrebbe preso il potere e rinnovato le istituzioni. In questa ottica, si spiega perché Pietro non potesse accettare che il Signore gli lavasse i piedi (Gv 13, 6-8). Nella stessa ottica si deve leggere la sua adesione incondizionata al Messia, disposto a dare la vita per lui (Gv 13, 37) e rischiandola di fatto, come quando l’aveva difeso con la spada, tagliando l’orecchio a Malco (Gv 18, 10).
Il rapporto di Pietro con Gesù era ideologico, basato su un programma religioso e politico; era un rapporto ambiguo, insufficiente, un rapporto che l’avrebbe portato al rinnegamento. Gesù, chiamando Pietro Simone di Giovanni, vuole riferirsi all’uomo vecchio che c’era ancora in lui, vuole smascherarne l’ambiguità, spingerlo verso una relazione nuova, basata sull’amore.
2.
Il superamento dell’ambiguità è lo scopo profondo della vita. Perché viviamo su questa terra? Per diventare discepoli di Gesù, raffinarci nell’amore, scegliere con libertà la strada del Paradiso!
Seguire Gesù superando le ambiguità è un’immensa trasformazione dell’essere che richiede sforzo, combattimento e fatica. Si tratta di una fatica che noi generalmente non siamo disposti a fare perché pensiamo che la strada giusta sia solo quella facile e che porta al successo. L’impero della tecnica in cui viviamo ci condiziona in questo senso e così pure la pedagogia corrente, che vuole risparmiare ai figli ogni difficoltà. Se, al contrario, vogliamo metterci in cammino per seguire Gesù, siamo chiamati ad accettare la fatica del cambiamento, a star dentro il travaglio del superamento di noi stessi. 
Ci vuole un’energia immensa, che lo Spirito di Gesù non mancherà di donarci in abbondanza!
“Simone di Giovanni - dice il Signore a ciascuno di noi -, mi vuoi bene?”.  Sì, o Signore, ti voglio bene, ma tu donami il tuo Spirito perché purifichi il mio cuore e lo riempia del tuo amore.

 

Omelia03apr16

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   Omelia del 03 aprile 2016

La pace sia con voi


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Prima Lettura (At 5, 12-16)
Dagli Atti degli Apostoli
Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.
Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro.
Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.

Seconda Lettura (Ap 1, 9-11.12-13.17.19)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.
Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell'isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.
Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese».
Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d'oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d'uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro.
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».

 

Vangelo e Letture 27mar16 Pasqua

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   Vangelo e Letture di Pasqua (27 marzo 2016)

Domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 1-9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Prima Lettura (At 10, 34.37-43)
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.
E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.
E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».


Seconda Lettura (Col 3, 1-4)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.

Vangelo e Letture 20mar16

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   Vangelo e Letture del 20 marzo 2016

Benedetto colui che viene nel nome del Signore


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 19,28-40)
In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: "Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: ‘Perché lo slegate?’, risponderete così: ‘Il Signore ne ha bisogno’". Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: "Perché slegate il puledro?". Essi risposero: "Il Signore ne ha bisogno". Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada.
Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!".
Alcuni farisei tra la folla gli dissero: "Maestro, rimprovera i tuoi discepoli". Ma egli rispose: "Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre".

Prima Lettura (Is 50, 4-7)
Dal libro del profeta Isaia
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.

Seconda Lettura (Fil 2, 6-11)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

Omelia13mar16

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   Omelia del 13 marzo 2016

L'adultera e lo sguardo di Gesù


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 8,1-11)
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Prima Lettura (Is 43, 16-21)
Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli,esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: «Non ricordate più le cose passate,non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi».

Seconda Lettura (Fil 3, 8-14)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi
Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti.
Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.

Omelia

1.
Una donna è stata colta in flagrante adulterio; secondo la Legge di Mosè dev’essere lapidata. Gli scribi e i farisei, che cercavano un pretesto per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo, chiedono consiglio a Gesù. Egli dapprima sembra non assecondarli, finge di non interessarsi alla domanda, poi ribalta il problema: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Va bene giudicare, dice Gesù, ma ognuno partendo dalla propria coscienza. E si ritrova solo con la donna: “Nessuno ti ha condannata?”; “Nessuno, Signore”; “Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più”.

Si tratta di un racconto così “scandaloso” che per un certo periodo non venne letto nelle assemblee liturgiche, quasi che la grandezza sconfinata della misericordia divina invitasse a peccare. Per fortuna, abbiamo capito che non è così!

2.
La scena ci consegna un incrocio di sguardi: c’è lo sguardo degli accusatori, che dice odio, ipocrisia, perfidia; c’è lo sguardo della donna, che esprime paura e implora pietà; c’è lo sguardo di Gesù, che disarma gli accusatori e ridà speranza alla donna.

Cos’ha di speciale lo sguardo di Gesù? È uno sguardo pieno di amore e di misericordia; esso arrivando al cuore dell’adultera, disintegra il male passato, fa emergere il bene nascosto, apre nuove prospettive per il futuro.

3.
Dello sguardo misericordioso di Gesù abbiamo tanto bisogno anche noi; tutti abbiamo qualche rimorso che ci pesa sulla coscienza. Il Vangelo ci annuncia la certezza di essere sempre accolti e perdonati; la Chiesa ci offre la possibilità di celebrare il sacramento della Riconciliazione; il Giubileo della Misericordia ci invita a non essere distratti, ma di impegnarci a ricercare quello sguardo che salva.

E allora sapremo verremo a contatto con la sorgente interiore del nostro io più profondo, avremo un nuovo gusto della vita e reimpareremo ad amare. La nostra, sarà una vita in pienezza!


Omelia06mar16

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   Omelia del 6 marzo 2016

Le mani del padre sulle spalle del figlio


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15,1-3. 11-32)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta". Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: "Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati". Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo". Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato"».

Prima Lettura (Gs 5,9. 10-12)
Dal libro di Giosuè
In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l'infamia dell'Egitto».
Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico.
Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno.
E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell'anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.


Seconda Lettura (2Cor 5, 17-21 )
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.
In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

Omelia

Ci sono due figli che si sono persi: il minore e il maggiore. Sono due moduli di come tutti noi ci perdiamo.

1.
Vediamo prima il perdersi del minore. Racconta Luca: “Il più giovane dei due disse al padre: ‘Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta’”. E’ come se il figlio dicesse: “Padre, non posso più aspettare che tu muoia; facciamo finta che ciò sia già avvenuto e dammi ciò che mi spetta”. E’ un distacco crudele, radicale che non prevede ripensamenti; è un distacco che sottrae il figlio alla benedizione del padre e lo rende un disperato, lo condanna a mangiare carrube.

Noi ci troviamo nella stessa situazione quando la nostra sete di amore (non saziata, perché lontani da casa) produce gelosia, rabbia, risentimento, sensualità, avidità, antagonismo, rivalità, tristezza.

2.
Figlio prodigo è anche il figlio maggiore. Quando seppe che il fratello minore era tornato e il padre aveva ucciso il vitello grasso, si arrabbiò e non voleva entrare. Perché? Perché egli faceva il proprio dovere, lavorava sodo ogni giorno, adempiva tutti i suoi obblighi, ma senza amore, senza gioia, senza libertà. E quando arriva il fratello minore, questa verità viene a galla, il vuoto del suo cuore si manifesta in tutta la sua penosa realtà.

E’ strano, ma capita. Capita di perdersi rimanendo a casa. Noi siamo in questa situazione quando proviamo nostalgia per la vita disobbediente che non abbiamo osato vivere; quando facciamo il nostro dovere, ma ci domandiamo perché gli altri non si applicano come noi; quando superiamo le tentazioni, ma proviamo invidia per quelli che vi si abbandonano.

3.
Ciascuno di noi è un po’ figlio minore e un po’ figlio maggiore. Entrambi i figli hanno bisogno di un padre che perdona. Ed il padre si china su entrambi.

Racconta Luca: “Quando era ancora lontano suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. Quando il figlio maggiore tornò dai campi, egli “uscì a supplicarlo”.

C’è un dipinto di Rembrandt, all’Hermitage di san Pietroburgo. Il padre esprime tenerezza, misericordia, perdono. E’ un padre quasi cieco, chino sul figlio, che fa scivolare su di lui la luce che promana dal suo volto. Ma il vero centro del dipinto di Rembrandt è costituito dalle mani del padre, che si posano sulle spalle del figlio. La mano sinistra è forte e muscolosa; è una mano di padre. La mano destra è raffinata, delicata e molto tenera; è una mano di madre.

Il Padre è sia padre che madre. Rembrandt vuol dire che il figlio, tornando a casa, si abbandona nelle braccia del padre ma, allo stesso tempo, rientra nel grembo della madre, ritorna alle sue vere origini. Ecco l’annuncio gioioso che sottende tutta la predicazione di Gesù: “L’amore di Dio è esistito ancor prima che fosse possibile qualsiasi rifiuto e starà lì dopo che tutti i rifiuti si saranno consumati” (H. Nouwen, L’abbraccio benedicente, Queriniana, Brescia 200823, 160).

4.
L’esperienza profonda della misericordia del Padre ci fa diventare misericordiosi come lui, ci trasforma in padri e madri.

Essere padri e madri ad immagine di Dio Padre vuol dire essere misericordiosi come Lui. Significa benedire e perdonare incondizionatamente, anche se i figli non sono riconoscenti. La gioia del padre non sta nella gratitudine, ma nel poter porre le sue mani sulle spalle del figlio. Non è facile! Bisogna liberarsi da se stessi, dalle proprie attese, dai propri complessi, dal proprio egoismo.

Si è padri e madri quando si accoglie l’altro così com’è, con amore; quando gli si dà il permesso di esistere con i suoi peccati e le sue debolezze, la sua vergogna e i suoi rimorsi. L’altro magari si sente spregevole ai suoi occhi; il padre e la madre lo accolgono dicendogli non: “Ti amo perché sei buono”, ma: “Ti amo perché sei tu”.

Se chi viene a noi ferito, al di là di ogni parola, comprende questo, allora trova la pace profonda, la fiducia, la gioia. Ed è festa grande!

Omelia28feb16

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   Omelia del 28 febbraio 2016

Vedremo se porterà frutti per l’avvenire

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13,1-9)
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Prima Lettura (Es 3,1-8. 13-15)
Dal libro dell'Esodo
In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb.
L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava.
Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.
Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele».
Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?».
Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».


Seconda Lettura (1Cor 10, 1-6. 10-12 )
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto.
Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono.
Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.

Omelia

1. I Galilei uccisi dai Romani erano più peccatori degli altri? O i diciotto Giudei sepolti dal crollo della torre di Siloe erano più colpevoli degli altri abitanti di Gerusalemme? Gli Ebrei uccisi nei campi di concentramento, le vittime dell’Isis, i malati di cancro sono più peccatori degli altri? No, dice Gesù. La mano di Dio non si diverte a distribuire castighi, a seminare morte. Le disgrazie e le catastrofi non sono una punizione di Dio; però possono essere un avvertimento. Infatti, aggiunge subito dopo Gesù, “se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. Ecco il messaggio centrale di questa domenica: Convertitevi! Il Regno di Dio è qui e bisogna decidersi per esso, senza temporeggiare.

Cosa vuol dire conversione per noi, che crediamo in Gesù, ci riconosciamo nelle pagine del Vangelo e condividiamo lo stile delle beatitudini? Nel cercare di rispondere a questa domanda, mi è venuto in mente il popolo ebraico che, dopo aver passato il Mar Rosso, ha dovuto camminare ancora per quarant’anni, attraverso il deserto del Sinai, prima di entrare nella Terra Promessa. L’Esodo ci insegna che il passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita, è fatto di evento e di itinerario insieme. L’aver detto di sì al Signore in un momento luminoso della nostra vita non ci esime dalla lunga fatica del Sinai, anno dopo anno, passo dopo passo.

È in quest’Esodo che sta la forza e la speranza più grande della società e del mondo. Serve a poco cambiare i padroni di turno; ciò che è davvero determinante, è il cambiamento del cuore, la conversione dal peccato. É stato proprio questo il pressante invito di Maria sia a Lourdes che a Fatima; è l’invito che dovremmo farci reciprocamente, visto che una delle opere di misericordia più dimenticate è proprio quella che invita ad ammonire i peccatori. Il peccato, anche quello più segreto, paralizza la vita cristiana, distrugge il rapporto con Dio, incrina la relazione con i fratelli, crea profonda infelicità. È proprio come dice Gesù: se non ci convertiamo, periremo tutti allo stesso modo.

2.
Alla severità di queste parole, fa da contrappunto la pazienza del Signore Gesù, evocata nella parabola del fico. Da tre anni il padrone attende invano dei frutti; si è stancato e vuole farlo tagliare. Invece il vignaiolo sapiente dice: “Lascialo ancora un anno e forse vedremo dei frutti”.

È consolante considerare Gesù come un vignaiolo che si china su di me e si prende cura con amore della mia vita. Dà forza sapere che egli crede in me ancor prima che io dica di sì. È decisivo sentire che mi incalza; infatti, come ha acutamente messo in evidenza il poeta R. M. Rilke, “ti ama davvero chi ti obbliga a diventare il meglio di ciò che puoi diventare”.

Gesù ha pazienza con noi; ma desidera con tutto se stesso che noi crediamo in lui e ci convertiamo all’Amore!

Omelia21feb16

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   Omelia del 21 febbraio 2016

Sul Tabor della trasfigurazione

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,28-36)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Prima Lettura (Gn 15, 5-12. 17-18)
Dal libro della Genesi
In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo».
Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all'altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò.
Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono.
Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest'alleanza con Abram:
«Alla tua discendenza
io do questa terra,
dal fiume d'Egitto
al grande fiume, il fiume Eufrate».


Seconda Lettura (Fil 3,17 - 4,1)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi
Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti - ve l'ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto - si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra.
La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.
Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!

Omelia

1.
Perché, nella nostra società, la fede sembra essere in declino e non costituire per molti il punto di forza nella vita? Perché la noia, la stanchezza, la fatica nel vivere le esigenze della fede? Domandiamoci cosa significò la trasfigurazione per i tre discepoli che salirono sul Tabor. Fino a quel momento, essi avevano conosciuto Gesù nella sua realtà più esteriore; poi, ne intuirono il mistero più nascosto.

Perché ciò avvenga anche per noi, occorre che succeda nella nostra vita qualcosa di simile a quello che capita a un giovane o a una ragazza quando si innamorano. Nell'innamoramento l'altro, l'amato, che prima era uno dei tanti, o forse uno sconosciuto, di colpo diventa l'unico, il solo al mondo che ci interessi. Qualcosa del genere dovrebbe succederci per diventare cristiani veri, convinti, gioiosi di esserlo. Ma bisogna "frequentare" Gesù, leggere i suoi scritti, mettersi in relazione con lui. Le sue lettere d'amore sono il Vangelo! La relazione con lui è la preghiera.

2.
E allora si troverà l’energia e il fascino della trasfigurazione. Infatti, diventare donne e uomini nuovi, divinizzati, è un’immensa trasformazione dell’essere che richiede sforzo, combattimento e fatica.

Le esperienze umane che più le sono vicine sono quelle della morte e del parto; in effetti, diventare uomini nuovi è allo stesso tempo un’operazione di morte e di parto: di morte dell’uomo vecchio, con le sue passioni ingannatrici e i desideri cattivi, e di parto dell’uomo nuovo, rigenerato in Cristo nell’amore, nella giustizia e nella santità.

3.
Se vogliamo dunque metterci in cammino per diventare donne e uomini nuovi, dobbiamo prima di tutto salire sopra il Tabor e comprendere come “solo attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione”.

Chiediamo al Signore di portarci con sé sopra il monte, insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni e di svegliarci dal torpore spirituale che ci fa vivere la vita solo a metà.

Omelia14feb16

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   Omelia del 14 febbraio 2016

Nel deserto della tentazione

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4,1-13)
In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Non di solo pane vivrà l'uomo"».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto"».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: "Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano"; e anche: "Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra"». Gesù gli rispose: «È stato detto: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo"».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Prima Lettura (Dt 26, 4-10)
Dal libro del Deuteronomio
Mosè parlò al popolo e disse:
«Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all'altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: "Mio padre era un Aramèo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato". Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio».


Seconda Lettura (Rm 10, 8-13)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, che cosa dice [Mosè]? «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore», cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
Dice infatti la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso». Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato».

Omelia

La Quaresima, come tutta la vita, è un itinerario dal deserto della tentazione al Tabor della Trasfigurazione. In questa prima tappa siamo nel deserto della tentazione.
Il Vangelo ci porta a riflettere sulle tentazioni subite da Gesù nel deserto, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti. La tradizione monastica ha visto nelle tre tentazioni di Gesù il paradigma di tutte le tentazioni: la concupiscenza della carne, significata dal porco, la concupiscenza degli occhi, significata dal pavone e la superbia della vita, significata dall'aquila. La tradizione spirituale, poi, ha precisato ulteriormente la varietà delle tentazioni formulando il catalogo dei sette vizi capitali.
Ma, qual è la tentazione più radicale? Se leggiamo in profondità il Vangelo di oggi, risulta che la tentazione più radicale è quella di prescindere da Dio, di non rispettare il nostro statuto di creature; ci sono tre modi per farlo.

1. Il primo modo è quello di mettersi al posto di Dio: "Se sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane", dice il demonio a Gesù. Voi direte che è una tentazione che non ci riguarda, che mai abbiamo pensato di metterei al posto di Dio. E invece non è così: noi ci mettiamo al posto di Dio quando non abbiamo coscienza del nostro limite, quando crediamo di arrivare a tutto e di poter  dominare tutto. Pensiamo alle manipolazioni genetiche, alla corsa al godimento sfrenato, allo sfruttamento selvaggio della terra; ma pensiamo anche alle nostre giornate, alle nostre agende stracariche di impegni.
Non siamo Dio; siamo creature; e dunque siamo chiamati a vivere da creature. Quando non lo facciamo, creiamo scompensi, disarmonie, che alla lunga ci distruggono.

2. Il secondo modo di prescindere da Dio è quello di servire altri idoli: "Se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo". Di idoli siamo un po' tutti maestri; non degli amuleti degli antichi, che ci fanno sorridere, ma delle priorità che determinano la nostra vita e guidano le nostre scelte: le comodità, il look, il piacere, il denaro, l'autonomia, il successo, il 30 e lode, la gratificazione affettiva. Dio non è escluso, ma non è neppure rilevante per le scelte concrete di ogni giorno; rimane sullo sfondo, come orizzonte evanescente di ricordi, nostalgie e consolazioni.

3. Il terzo modo di prescindere da Dio è quello di strumentalizzare Dio, asservendolo ai nostri bisogni: "Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti: 'Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, affinché essi ti custodiscano'; e anche 'Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra"'. Questo modo di prescindere da Dio ci è più familiare; è quando siamo noi a fare i progetti e chiediamo a Dio semplicemente di firmarli; è quando vogliamo fare intervenire Dio semplicemente per colmare una nostra lacuna o per strabiliare i nostri amici; è quando la nostra preghiera si colora di magia. Qui c'è poco di cristiano.

4. In questa prospettiva, fare Quaresima non vuol dire semplicemente fare qualche digiuno o rinunciare ai cioccolatini. Vuol dire ritrovare il senso delle cose, il posto giusto di Dio e dell'uomo, e agire di conseguenza. Sia così il cammino quaresimale!
Vorrei che avessimo gli stessi sentimenti di fratel Carlo de Foucauld, espressi dalla preghiera: "Padre mio, mi abbandono a te, fa' di me ciò che ti piace. Qualunque cosa tu faccia di me ti ringrazio. Sono pronto a tutto. Accetto tutto. Purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature; non desidero altro, mio Dio. Depongo la mia anima nelle tue mani. Te la dono, mio Dio, con tutto l'amore del mio cuore, perché ti amo ed è per me un'esigenza d'amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani senza misura, con una fiducia infinita, perché tu sei il Padre mio".
Viviamo con questi sentimenti la nostra Quaresima".

Omelia07feb16

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   Omelia del 7 febbraio 2016

Sulla tua parola

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 5,1-11)
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Prima Lettura (Is 6,1-2.3-8)
Dal libro del profeta Isaia
Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».

Seconda Lettura (1Cor 15,1-11)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano! A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè  che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

Omelia

Una scena di vita quotidiana sulle rive del lago di Genesaret: Gesù sta predicando a una gran folla che gli si accalca attorno; alcuni pescatori stanno lavando le reti accanto alle loro barche ormeggiate alla sponda. Ad un certo punto, egli ha un’idea: perché non salire su una barca, in modo da mettere un po’ di spazio tra lui e la gente, e così predicare meglio? La barca scelta è quella di Simone, il futuro Pietro. Il pescatore è contento che il rabbi abbia scelto la sua barca: è un gesto di fiducia che gli fa onore di fronte a tutto il paese. Non immagina per niente che quella scelta avrebbe capovolto la sua vita. Vedete, è sempre così: il Signore irrompe improvviso, nelle situazioni ordinarie della vita.

1. Finito di predicare, Gesù dice a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”. “Prendi il largo, duc in altum!

Anche a noi oggi il Signore dice di non aver paura e di prendere il largo; ci dice di andare avanti con fiducia, di credere che i miracoli possono ancora capitare nella nostra vita personale, familiare, comunitaria.

Sì, o Signore, vogliamo prendere il largo; siamo stufi di una vita, strascinata sulla banalità, inconcludente. Vogliamo vivere in pienezza, prendere il largo, spezzare i confini del cielo e della terra.

2. All’invito di Gesù, Pietro in prima battuta risponde: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”. E’ comprensibile la risposta di Simone, uomo concreto, di buon senso; che figura ci avrebbe fatto se si fosse messo a pescare di mattina, cosa che nessuno faceva mai, e poi non avesse preso niente! Sarebbe diventato la barzelletta di tutti. C’era poi la fatica, la stanchezza; per un’intera nottata aveva remato, sudato, aveva speso molta energia, ce l’aveva messa tutta, senza alcun risultato. Non aveva più tanta voglia di ricominciare; l’avrebbe fatto, sì, ma la notte dopo. Se Simone avesse detto di no, sarebbe stato ragionevole; il buon senso era tutto dalla sua parte.

Anche noi talvolta ci troviamo nella situazione di Simone; nella nostra vita di fede, in famiglia, a scuola e all’università, sul lavoro, in parrocchia, quante volte facciamo fatica ad accogliere l’invito di Gesù, perché siamo stanchi o scoraggiati o attaccati alle nostre comodità.

3.
Nonostante tutto, però, Pietro si fida e continua dicendo: “ma sulla tua parola getterò le reti”. Pietro esce dai calcoli e si butta sulla parola del Signore. E’ un pizzico di follia che lo porta al largo per pescare di nuovo. Per seguire il Signore, è necessario rischiare, buttarsi fuori.

Pietro e i primi compagni, ascoltando il Signore, presero una quantità enorme di pesci; i credenti che hanno fatto come loro hanno trovato la pienezza della vita e della gioia. Anche noi vogliamo fidarci di Gesù, credere che l’impossibile, con Lui, può diventare realtà; vogliamo ostinarci a credere che un mondo migliore è possibile, che i cieli nuovi e la terra nuova sono la promessa di Dio per noi.

Catechesi per Adulti

Genesi, la creazione
Catechesi guidata da don Sandro Panizzolo; testi di commento liberamente tratti dalla Catechesi adulti della diocesi di Como; redazione del power point: signora Rita Veronese.


Genesi, il peccato
Catechesi guidata da don Sandro Panizzolo; testi di commento liberamente tratti dalla Catechesi adulti della diocesi di Como; redazione del power point: signora Rita Veronese.


Genesi, il diluvio
Catechesi guidata da don Sandro Panizzolo; testi di commento liberamente tratti dalla Catechesi adulti della diocesi di Como; redazione del power point: signora Rita Veronese.


Genesi, Abramo, Isacco, Giacobbe
Catechesi guidata da don Sandro Panizzolo; testi di commento liberamente tratti dalla Catechesi adulti della diocesi di Como; redazione del power point: signora Rita Veronese.


Esodo
Catechesi guidata da don Sandro Panizzolo; Testi di commento liberamente tratti dalla Bibbia per la famiglia del card. Gianfranco Ravasi; redazione del power point: signora Rita Veronese.

Omelia31gen16

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   Omelia del 31 gennaio 2016

A Nazareth Gesù viene cacciato

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4,21-30)
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso”. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!». Poi aggiunse: «In verità vi dico nessun profeta è bene accetto nella sua patria.
Anzi in verità vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu purificato se non Naaman, il Siro».
All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno; si alzarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Prima Lettura (Ger 1,4-5.17-19)
Dal libro del profeta Geremia
Nei giorni del re Giosia, mi fu rivolta la parola del Signore: "Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato: ti ho stabilito profeta delle nazioni.
Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, alzati e di' loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro.
Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una collonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese.
Ti faranno guerra ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti".

Seconda Lettura (1Cor 12,31 - 13,13)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime.
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.
Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

Omelia
1.
Il passaggio dalla prima scena del brano di Luca alla seconda è ancora un mistero che gli esegeti non sono riusciti a spiegare. E’ sorprendente l’evoluzione della reazione dei compaesani di Gesù, che va dalla meraviglia iniziale all’aperta ostilità. Gesù sente che l’atmosfera diventa ostile e, dopo alcune pungenti considerazioni, conclude: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”. A questo punto, l’emozione raggiunge il culmine: Gesù viene cacciato fuori dalla sinagoga, addirittura con l’intenzione di ucciderlo; poi i suoi compaesani ci ripensano, tuttavia il fallimento della predicazione è totale. L’ultimo versetto che abbiamo letto, il 30, è di una tristezza toccante: Gesù, “passando in mezzo a loro, si mise in cammino”.

Luca inizia intenzionalmente il racconto del ministero di Gesù in Galilea con questo fallimento; è segno che ha voluto dargli un valore programmatico. Noi forse avremmo cominciato con una serie di episodi belli, attraenti, in cui il rabbì di Nazareth miete successi e trascina le folle. Luca no! Perché? Perché egli voleva, fin dall’inizio, far riflettere profondamente su chi è l’evangelizzatore.

Gesù evangelizzatore ci appare totalmente fedele al messaggio che deve annunciare, dotato di assoluta libertà di spirito, incurante del successo o della cattiva fama che la sua azione può portare, fondato unicamente sulla Verità che custodisce. La gente di Nazareth si aspettava molto da Gesù, il compaesano diventato famoso; ma Egli si divincola da queste attese, non sottostà ad alcun ricatto, preferisce fallire piuttosto che essere incastrato nei piccoli interessi del suo villaggio di montagna. Emerge dall’insieme del brano la statura possente di Gesù.

2. L’anno del Giubileo della misericordia che stiamo vivendo, a cinquant’anni dal Concilio, è un’occasione straordinaria per ravvivare la nostra fede in Gesù, ma anche per offrire a chi non è cristiano o non lo è più una testimonianza del Vangelo incisiva e coraggiosa.

Gesù ci mostra con il suo atteggiamento che evangelizzare non vuol dire anzitutto fare qualche cosa, ma essere persone nuove; ci rivela che l’essenziale è partecipare della sua vita, della sua libertà e della sua liberazione. “Non possiamo aiutare, liberare, pacificare gli altri se prima non siamo noi liberi, pacificati, salvati dalla presenza di Gesù, dalla nostra permanenza in lui liberatore, in lui salvatore” (C. M. Martini, L’evangelizzatore in San Luca, p. 31). Infatti, se conviviamo pacificamente con risentimenti, invidie, gelosie e varie forme di schiavitù, come potremo comunicare agli altri la vita, la libertà e la liberazione di Gesù?

3. Oggi c’è tanto bisogno che il Vangelo venga annunciato con forza, con entusiasmo, con credibilità. Papa Francesco, nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium insegna che “c’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. […] Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada” (n. 128).

La condizione è che ci lasciamo salvare per primi e che viviamo da salvati; senza dire tante parole, sarà la nostra stessa esistenza a comunicare il Vangelo che portiamo dentro e a farci diventare evangelizzatori fedeli e coraggiosi.    

 

Omelia24gen16

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   Omelia del 24 gennaio 2016

La nuova creazione inizia dai poveri


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1-1,4;4-14-21)
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch'io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato".

Prima Lettura (Ne 8,2-4. 5-6. 8-10)
In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all'assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere.
Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d'intendere; tutto il popolo tendeva l'orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l'occorrenza.
Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore.
I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura.
Neemìa, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge.
Poi Neemìa disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».

Seconda Lettura (1Cor 12, 12-31)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.
Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l'odorato?
Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.
Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?

Omelia
1. Il giovane rabbi Gesù torna al suo paese, Nazareth, entra nella sinagoga e si alza a leggere. Gli danno il rotolo del profeta Isaia, da dove sceglie di leggere alcuni versetti del capitolo 61, là dove il futuro Messia descrive la sua missione di guarigione e liberazione.

La parola chiave è liberazione (“afesis”), una parola che negli ultimi decenni abbiamo imparato ad usare spesso. P. Ermes Ronchi, il servita che predicherà quest’anno gli esercizi spirituali a papa Francesco e alla Curia romana, la spiega così: “Nella sua radice greca il termine indica movimento, parla dell’energia che spinge in avanti, della nave che salpa, della freccia che scocca, della carovana che si avvia. Liberazione sa di vento, di futuro e di spazi aperti”.

2. “Oggi, dice Gesù ai suoi compaesani, si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Oggi Gesù fa risuonare quella profezia anche per noi, non semplicemente perché è l’anno del Giubileo, ma perché egli stesso è il Giubileo! Il suo è un oggi eterno, che ci porta un lieto annuncio, risana la nostra vita, ci libera dalla schiavitù.

3. Gesù comincia la sua nuova creazione dalle periferie della terra, dai sotterranei della storia, da coloro che non ce la fanno. Perché in loro riesce a fare breccia, ad entrare nel cuore, a portare il suo Dono, che ha la forza di scardinare il mondo vecchio e far germogliare quello nuovo.

Mi domando: sono abbastanza povero da lasciarmi salvare? abbastanza disperato da accogliere il Dono.

4. Discepoli di Gesù, siamo chiamati a lavorare perché il Regno di Dio cresca, la misericordia trionfi, l’ingiustizia sia sconfitta, le divisioni superate, la pace vittoriosa. Consacrati in Gesù, siamo mandati per risanare e liberare, per consolare e sostenere.

Le opere di misericordia, che papa Francesco ci ha chiesto di riscoprire in questo Giubileo, sono un modo facile e concreto per condividere la missione di Gesù. Quelle corporali: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. E quelle spirituali: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.

Beati noi se avremo la sapienza di fare la nostra parte!


Omelia17gen16

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   Omelia del 17 gennaio 2016

Vino nuovo

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2,1-11)
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le anfore»; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua - chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 
Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Prima Lettura (Is 62,1-5)
Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.

Seconda Lettura (1Cor 12,4-11)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue.  Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

Omelia
1. Vita di paese. Gesù è invitato a una festa di nozze; ci va con Maria, sua mamma. E là avviene il suo primo miracolo, con cui si manifesta ai suoi discepoli, parenti, amici. L’evangelista Giovanni dà un’enfasi particolare al “segno” di Cana: esso “fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”.

2. Non è un caso che Gesù compia il suo primo miracolo a una festa di nozze. Vuole sottolineare la decisività e la santità della famiglia. Su suggerimento di sua madre Maria, trasforma l’acqua in vino e rallegra la festa degli sposi. Oggi, dovremmo anche noi invitare Gesù nelle nostre famiglie, perché rallegri la festa e ci porti il vino nuovo della Vita, dell’Amore, della Gioia. Dovremmo chiedergli anche di aiutare i giovani ad avere un lavoro e una casa; altrimenti, come potranno sposarsi e fare una famiglia?
Non dobbiamo, però, avere paura di invitarlo a casa nostra!

3.Cosa rappresenta il vino nuovo che Gesù fa comparire sulla tavola degli sposi? In tutta la Bibbia, esso è il simbolo della felicità e dell’amore.
Di fatto, è l’amore il segreto della vita: di ogni vita, della vita del mondo, della nostra vita. Senza amore, c’è il nulla, la morte. E’ questa l’esperienza che facciamo ogni giorno: quando nel nostro cuore c’è l’amore, tutto sembra sorriderci, abbiamo voglia di vivere, entusiasmo, gioia; quando per qualche ragione quest’amore si raffredda o si spegne, tutto sembra caderci addosso, diventiamo tristi, scontenti. E’ inevitabile che questo avvenga, perché il nostro amore è fragile e limitato.
Il vino nuovo che Gesù fa comparire sulla tavola degli sposi è la sua Vita, il Suo Amore, la sua Gioia. E’ un vino che si mischia al nostro e rende inesauribile la festa.

4. A Maria, invitata premurosa e discreta a Cana, vogliamo dire con le parole di don Tonino Bello: “Santa Maria, donna del vino nuovo, quante volte sperimentiamo pure noi che il banchetto della vita languisce e la felicità si spegne sul volto dei commensali. È il vino della festa che viene meno. Sulla tavola non ci manca nulla: ma senza il succo della vite, abbiamo perso il gusto del pane che sa di grano. Muoviti a compassione di noi, e ridonaci il gusto delle cose. Solo così le giare della nostra esistenza si riempiranno fino all’orlo di significati ultimi. E l’ebbrezza di vivere e di far vivere ci farà finalmente provare le vertigini”. “Tu, madre, chiedi anche per noi la pienezza della gioia terrena, il vino rinnovato, che fermenta i cuori perché nulla manchi al nostro banchetto con Lui.”

 

Omelia10gen16

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   Omelia del 10 gennaio 2016

Battesimo di Gesù

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3,15-16.21-22)

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Prima Lettura (Is 40,1-5.9-11)
Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato». Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».

Seconda Lettura (Tt 2,11-14;3,4-7)
Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone. Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini,  egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.

Omelia
1. Al Giordano, il Padre dichiara a Gesù: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. E’ questa l’identità più profonda di Gesù, che viene manifestata all’inizio della sua vita pubblica. L’essere amati dal Padre è anche la nostra più autentica identità: noi tutti siamo i figli amati dal Padre. Questo amore ci raggiunge in pienezza nel momento del Battesimo, quando diventiamo realmente figli nel Figlio.

Il problema è che questa identità è sepolta sotto un mare di sabbia che a volte non la rende più così evidente ai nostri occhi. Tante voci continuamente ci gridano: “Tu sei il brutto anatroccolo, non sei degno, non sei capace, non sei nessuno”. E allora noi spendiamo tutta la vita a dimostrare che siamo piacevoli, amabili, efficienti, in un dinamismo perverso che ci distacca dal cuore di noi stessi e ci impedisce di gustare la vita. Credere di non essere amati: è questa la più grande tentazione, la madre di tutte le trappole, che ci spinge a cercare disperatamente surrogati di amore nel potere, nel sesso, nella ricchezza, nella popolarità, nel successo. Persone attorno che ci vogliono bene ce ne sono, ma non ce ne accorgiamo; teniamo conto solo delle ferite che inevitabilmente i genitori, gli amici, i compagni di strada ci arrecano.

2. E allora, che fare? Bisogna scavare la sabbia che seppellisce la nostra identità, far venir su dal nostro io più profondo ciò che siamo in realtà, ciò che nel Battesimo siamo divenuti, e far fiorire così il deserto della vita e del mondo. Sono necessari due passaggi.

Il primo passaggio è diventare consapevoli di essere i figli amati di Dio. Noi siamo questi figli non perché siamo stati bravi, ce lo siamo meritati, ma perché il Padre, nella sua infinita misericordia, ci ha scelti e amati. E’ questa consapevolezza che possiamo far giungere a noi attraverso la preghiera. La preghiera ci permette di ascoltare la voce d’amore del Padre, che è all’origine della nostra esistenza, ci permette di gustare il nostro essere figli, ci libera di tutti i meccanismi diabolici che ci spingono a costruirci un’identità scintillante, ma falsa, perché non è la nostra.

Gesù passava molte notti in preghiera per continuare a sentire la voce che gli aveva parlato sul Giordano. Anche noi dobbiamo pregare, ma come è difficile! H. Nouwen paragona la nostra vita interiore a un albero di banane carico di scimmie saltellanti. “Ma se decidiamo di non andarcene e di rimanere concentrati - insegna -, le scimmie forse se ne andranno via per mancanza di attenzione e la voce sommessa e dolce che ci chiama ‘diletti’ si potrà far sentire a poco a poco. Gran parte della preghiera di Gesù aveva luogo di notte. ‘Notte’ significa più che l’assenza del sole; significa anche l’assenza di sentimenti di soddisfazione o di intuizioni illuminanti. Per questo è così difficile essere fedeli. Ma Dio è più grande del nostro cuore e della nostra mente e continua a chiamarci suoi diletti… molto al di là di sentimenti e pensieri” (H. J. M. Nouwen, Vivere nello Spirito, Brescia 1995, 134).

Il secondo passaggio per far fiorire il deserto è diventare ciò che siamo: non solo sapere di essere gli amati, ma diventare gli amati, i figli di Dio, i fratelli e le sorelle, ritrovare il paradiso perduto. Ciò comporta un processo di incarnazione: “lasciare che la verità dell’’essere amati’ si incarni in ogni cosa che pensiamo, diciamo o facciamo… Diventare l’amato significa calare nella ordinarietà di ciò che io sono e, quindi, di ciò che penso, dico e faccio ora dopo ora, la verità che mi è stata rivelata dall’alto” (H. J. M. Nouwen, Sentirsi amati, Brescia 2005, 37). Questa incarnazione nell’ordinario mi renderà capace di discernere le voci negative che mettono in dubbio la mia amabilità e di neutralizzarle; al contrario, mi permetterà di cogliere ogni raggio dell’amore di Dio per me nascosto anche nelle realtà più umili e imperfette. Riuscirò a vedere e ad apprezzare l’amore dei miei genitori, dei fratelli, degli amici e di chi mi è affidato al di là della sabbia che a volte lo copre o delle ferite che lo deturpano.

3. Quando avremo percepito che siamo gli amati, non avremo più bisogno di dimostrare a nessuno che siamo belli, bravi e buoni. Lo saremo, ma come libera esigenza che scaturisce da ciò che siamo. Tutto ciò che ci capiterà, diventerà opportunità unica per scegliere la Vita, l’Amore, la Gioia. Solo se diventeremo gli amati potremo essere gli amanti! Solo se avremo sperimentato la misericordia, potremo essere misericordiosi!

Pensatevi a cosa vuol dire diventare figli, padri, madri, fratelli, amici così. Vuol dire davvero ritrovare il paradiso perduto!

Lo Spirito Creatore renda feconda la nostra ricerca e colmi la nostra fame e sete di Amore.

Don Sandro

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  Pellegrinaggio giubilare a Roma


Il secondo pellegrinaggio giubilare a Roma della nostra parrocchia è in programma dall’8 al 10 febbraio; i 60 posti disponibili sono già tutti prenotati.

Incontro di preparazione (e consegna del saldo): Martedì 2 febbraio alle 21.00 in patronato.

Un terzo pellegrinaggio è proposto da lunedì 16 a mercoledì 18 maggio. Il programma
prevede il passaggio della Porta Santa delle quattro Basiliche romane, l’udienza con Papa Francesco, la visita guidata ai Musei Vaticani e alla Cappella Sistina, l’ingresso alle Catacombe.

Costo: € 230,00. Iscrizioni c/o don Sandro.

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Pellegrinaggi a Roma

In occasione del Giubileo della Misericordia, la Parrocchia organizza due pellegrinaggi a Roma, con la partecipazione anche di un gruppo di cresimandi.

Le date dei pellegrinaggi sono:
* 28-30 dicembre 2015 (di seguito le foto)
* 8-10 febbraio 2016

Udienza generale papale del 18 febbraio 2015



Il video qui riportato dell'udienza generale del 18 febbraio 2015, quando Papa Francesco ha salutato in modo particolare il gruppo dei cresimandi di Monselice e ha fatto salire sulla papamobile due dei nostri ragazzi, Nicholas e Marika.


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  • Published in Adulti

   Gruppo Adulti e Anziani

E' nato un nuovo Gruppo parrocchiale adulti e anziani

Una volta al mese, ci sarà un momento di spiritualità nella chiesa di S. Rosa, in preparazione al Giubileo. Don Lino, secondo un calendario esposto in chiesa, dopo la Messa, parlerà della misericordia e di S. Pio.

Per informazioni: Maria Luisa Cappello (335321464) e Monica Vinaccioli (3488949967).

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